Sei mesi dopo i primi dettagli emersi sugli arresti e le torture perpetrate in Cecenia ai danni di decine e decine di omosessuali, una vittima ha raccontato per la prima volta la sua esperienza pubblicamente.
Lui si chiama Maxim Lapunov, siberiano di 30 anni, che stava vivendo e lavorando in Cecenia da due anni quando è stato sorpreso a letto una notte di marzo e trascinato da due uomini in una macchina. Ha raccontato di essere stato trattenuto per 12 giorni in una cella, picchiato con manganelli su gambe, costole, sedere e schiena, minacciato e umiliato in ogni modo possibile (nonché interrogato e forzato a rivelare i nomi di altri uomini gay).
“Ogni dieci o quindici minuti mi urlavano che ero gay e che mi avrebbero ucciso” ha rivelato in una piccola assemblea tenuta a Mosca da attivisti per i diritti umani. “Quando cadevo mi ritiravano su e mi colpivano nuovamente”.
A maggio il presidente russo Vladimir Putin aveva annunciato un rafforzamento delle agenzie investigative in supporto agli attivisti per i diritti umani dopo i numerosi appelli dell’Europa, ma nulla di concreto è stato fatto. Fino a questo momento le testimonianze non avevano un nome e una faccia: le vittime infatti temevano che le denunce avrebbero messo in pericolo i cari a casa. Adesso, però, c’è Maxim. “La scusa delle autorità era che nessuna delle vittime aveva ufficialmente parlato” racconta Tanya Lokshina di Human Rights Watch: “Adesso sì, ma le investigazioni non partono. C’è una mancanza di volontà politica”. Come ribadisce anche Igor Kochetkov di LGBT Network, tutti gli ufficiali – compreso il presidente – hanno sempre garantito che la comunità LGBT russa non è discriminata: iniziare a indagare, in sostanza, sarebbe quasi un’ammissione di colpevolezza.
Lapunov è stato rilasciato dalla polizia dopo che gli amici avevano sparso suoi poster per la capitale cecena e dopo che la famiglia aveva denunciato la sua scomparsa: “Potevo a malapena camminare quando fui rilasciato e ancora i gemiti e le urla strazianti delle altre vittime mi perseguitano”. Il più è stato fatto e Maxim Lapunov non ha intenzione di tornare sui suoi passi: “Non deve essere così, siamo persone. Se questi diritti possono essere violati in Cecenia potrebbe capitare ovunque. E nessuno sa di chi sarà il prossimo figlio a essere vittima”.
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