Servendosi dei dipinti conservati a Pompei, un reverendo britannico sta ribaltando la visione anti-omosessualità propagata dalla Bibbia.
Steve Chalke è un pastore cristiano del Regno Unito a capo di un’organizzazione che lavora per includere la comunità LGBT, l’Oasis Charitable Trust. E, a suo dire, contestualizzare il periodo in cui la Bibbia è stata scritta può essere utile a comprendere determinate istanze negative nei confronti del mondo omosessuale.
“Gli schiavi non godevano della stessa protezione dei ragazzi romani – racconta Chalke – e per un uomo romano il sesso extraconiugale era legittimo, ma solo se nel rapporto si era attivi e con persone ritenute inferiori”. L’omosessualità così inquadrata, legata cioè all’abuso e a forme di prevaricazione nei confronti di uomini più deboli socialmente, non poteva che essere condannata all’interno del Nuovo Testamento: “Era la società in cui il sesso veniva legittimamente utilizzato per sfruttare ragazzi più giovani”.
Nel testo sacro, continua il pastore, non si fa alcun riferimento alla sfera sentimentale delle coppie omosessuali: “Non si parla assolutamente male dell’amore nei confronti di persone dello stesso sesso”. Per comprovare la sua tesi, il pastore chiama in causa alcuni dipinti di Pompei, dove appaiono esplicite scene erotiche di natura omosessuale: queste non sarebbero altro che una testimonianza di quanto la città, all’epoca, fosse pervasa dalla dimensione sessuale.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.