FELICEMENTE CATTOLICO E GAY

Proteste dei lettori credenti dopo le critiche alle celebrazioni del pontificato di Giovanni Paolo II. Aurelio Mancuso risponde e precisa: la Chiesa non è solo Wojtyla.

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4 min. di lettura

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa risposta di Aurelio Mancuso alle lettere giunte all’autore dopo il suo intervento relativo al 25esimo anniversario dell’elezione a Pontefice di Karol Wojtyla (clicca qui per l’articolo).
In questi giorni, ho ricevuto diverse lettere e messaggi di commento sul mio comunicato sui 25 anni di pontificato del Papa. Come sempre accade quando si polemizza con la gerarchia cattolica le posizioni in campo sono assai distanti: da una parte, la stragrande maggioranza, di condanna contro le ingerenze del Vaticano rispetto ai nostri diritti, dall’altra alcune voci dissidenti, che ripropongono l’alto messaggio spirituale della Chiesa e sottolineano la nostra colpa di essere esageratamente promiscui e libertini.
In entrambi i casi, noto come sia difficile far comprendere che il movimento gay italiano non contesta affatto la possibilità che la gerarchia e, in primo luogo il Papa, si esprimano contro la sessualità gay, contro il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, ecc. In democrazia (parola assai indigesta tra le più alte gerarchie cattoliche), ogni opinione deve poter essere espressa in piena libertà.
Vi sono però due questioni su cui non si può transigere: da una parte i gay cattolici sanno bene che gli orientamenti espressi dalla gerarchia non sono frutto di verità indiscutibili, né tantomeno discendono dall’insegnamento di Cristo; sono invece il risultato di pregiudizi sedimentati nei secoli, molti dei quali assorbiti da altre culture e religioni. Il governo assembleare ha dovuto cedere il passo alla monarchia, ciò ha permesso che il Papa, e la sua Curia, potessero imporre una visione pessimistica della sessualità, come ben evidenziano i documenti conclusivi del Concilio di Trento (che i successivi Concili confermarono e aggravarono).
Dall’altra, soprattutto grazie all’aggressività militante dell’attuale papato, si è imposta di nuovo l’idea che la morale cattolica, di più che il sistema dei valori di cui è complessivamente portatrice la Chiesa romana, siano al di sopra di tutti gli altri. Questo ripropone, in chiave moderna, l’antica disputa tra il primato spirituale su quello temporale (in questo caso lo stato laico e le società moderne).
In una delle lettere che mi sono state inviate, un gay cattolico contesta al movimento omosessuale la possibilità di criticare il Magistero del Papa, ricordando fra l’altro che la Chiesa impone la castità anche alle coppie eterosessuali non sposate; siamo inoltre colpevoli di accoppiarci come le bestie, cambiando spesso compagno.
In ultimo ci accusa di parlare sempre dei gay rapportandoci alla loro sessualità e non alla completezza della loro personalità.
Questa critica ci interroga su una questione essenziale: un gay può essere anche cattolico, o ciò non produce contraddizioni troppo devastanti?
Sarebbe sufficiente rispondere a questo interrogativo con una battuta: la fede è un dono prezioso che nessuno ci può togliere, nemmeno gli anacronistici divieti imposti da Ratzinger. In questo senso, trovo che le parole pronunciate dall’Unione nazionale delle suore americane nel 1999, siano davvero esaustive: (..) Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti perché: chiudete la porta in faccia alle relazioni d’amore di lesbiche e gay e mettete a riparo i preti e i vescovi omosessuali nei vostri ripostigli; insegnate le vostre parole e quelle dei vostri predecessori, invece di insegnare il messaggio di salvezza di Gesù e il Vangelo; (..) a motivo della vostra ossessione per le questioni sessuali, piuttosto che dell’attenzione alla dignità della persona umana. Perché, che cosa è davvero intrinsecamente male? Le debolezze sessuali degli individui? O il pregiudizio, la discriminazione, la violenza contro quanti sono giudicati diversi? Guide cieche! Scolate il moscerino e inghiottite il cammello! (..)
Questo documento non è un fatto isolato. Nonostante il silenzio tombale che è calato sulla Teologia della Liberazione e sulle tante voci del dissenso, nella Chiesa universale il dibattito è apertissimo. Diverse Conferenze episcopali hanno inviato documenti di critica, anche forte, sulla morale sessuale imposta da Ratzinger. La gran parte del clero e delle persone consacrate (soprattutto gli ordini religiosi femminili, e questo non è un caso), ribadiscono nelle loro pubblicazioni e convegni, la necessità di ridiscutere posizioni ritenute retrive e dannose per la dignità umana (in particolare sull’uso dei contraccettivi, delle libertà delle donne).
Tutto ciò per dire che un gay, in questa Chiesa ci sta benissimo; dovrà naturalmente combattere una lunga battaglia contro le reprimende della gerarchia, ma troverà ragioni, persone, gruppi, elaborazioni teologiche, che lo conforteranno: un gay, anche praticante (cioè sessualmene attivo) ha gli stessi diritti degli altri appartenenti al popolo di Dio.
Stare dentro la Chiesa è una sfida importante, a volte pesante, ma preziosa anche per tutti gli altri gay che credenti non sono.
Voglio, infine, rispondere al gay credente che critica il libertinaggio sessuale. Il movimento glbt è composto da una pluralità di idee ed elaborazioni culturali. La liberazione sessuale degli anni ’70 ha posto l’attenzione sulla gestione del corpo e delle pulsioni; quel movimento tentava di liberare dalla nostra carne secoli di cilicio, di cinture di castità mentali e materiali, di codici del comportamento sessuale imposti dai preti, capaci di un controllo sociale capillare e ossessivo. I nostri letti si sono liberati dagli occhiuti in lunga veste (così rimpianti da tanti politici italiani, ahinoi anche di sinistra!). Se, non si ricorda questo si fa torto alla nostra stessa storia e non si comprendono i comportamenti individuali e collettivi di una comunità, segregata dalla notte dei tempi, nella clandestinità. Parlare di sentimenti, di diritti delle coppie gay, di attenzione e prevenzione rispetto alle malattie sessualmente trasmissibili, segna nei fatti un’evoluzione anche del costume gay.
Questo è stato possibile perché ci siamo battuti strenuamente per i nostri diritti, per emergere dal buio della storia e affermarci come soggetti portatori di valori.
Proprio per queste ragioni respingo l’accusa che siamo sessuocentrici; la verità è che il nostro orientamento sessuale determina una serie di successive scelte, o modalità di comportamenti, che nel loro complesso costituiscono una cultura. Come tutte le culture succettibile di profonde modificazioni nel corso del tempo.
Fatta salva la libertà di ognuno di esprimere la propria sessualità nei modi e nelle forme più congeniali e, secondo le proprie convinzioni etiche (il sesso come gioco o come puro piacere, non sono tra l’altro concetti propri solo del movimento gay), è chiaro che nei prossimi decenni molte delle abitudini muteranno e si evolveranno.
Un gay cattolico ha il dovere di testimoniare la propria fede, ma non può cadere nell’eguale errore in cui sono sprofondate le gerarchie, ovvero giudicare e condannare. La sessualità è gioia, è elemento irrinunciabile della natura umana, è costitutiva dell’originalità di ogni essere umano, non può quindi, essere elemento di discriminazione o di condanna aprioristica. Nel progetto di Dio, nella testimoniana del Cristo, l’amore, la sessualità, sono valori essenziali per raggiungere la pace; una pace che non è solo assenza di conflitti armati, è armonia e consapevolezza, è comprensione e rispetto delle differenze.

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