Nella grande questione dei flussi migratori una realtà continua ad essere ai margini di questo drammatico fenomeno: i rifugiati LGBT.
Sono davvero pochi i dati raccolti nei Paesi europei sui richiedenti asilo in ragione del proprio orientamento sessuale: da un lato c’è la delicatezza del tema per chi ha vissuto ed è fuggito da realtà in cui l’omosessualità mette a rischio la vita stessa e dall’altro la rozzezza con cui i governi dell’Unione Europea stanno gestendo il fenomeno migratorio. Secondo le stime sono 140 i paesi di provenienza dei rifugiati LGBT presente nell’UE, per la gran parte mediorientali o provenienti dall’Africa subsahariana.
Nonostante questi rifugiati rientrino appieno nei casi di protezione previsti sia dalla Convenzione ONU di Ginevra che dalle direttive europee, gli Stati hanno vita facile ad ostacolare il riconoscimento del diritto all’accoglienza: sono solo di pochi anni fa le denunce di casi in cui le strutture giuridiche e di sicurezza che si occupano di immigrazione utilizzavano domande invasive sul coming out, standard di valutazione stereotipati sull’effemminatezza degli omosessuali o alla peggio verifiche basate sulla visione di video porno, del tutto estranee ai diritti umani.
In Italia l’accoglienza prevista per i rifugiati LGBT ha dato fiato a una certa stampa ansiosa di sparare sui gay, bianchi o neri che siano, paventando finti coming out dei migranti: “Per molte di queste persone, rimane un tabù anche rispetto a se stessi il fatto di dichiararsi apertamente gay – spiega ad OpenMigration Livio Neri di ASGI, associazione studi giuridici sull’immigrazione – Le commissioni territoriali per il diritto d’asilo pretendono una presa di coscienza dell’orientamento sessuale che in alcuni casi può esserci, ma nella maggior parte no”.
Un polemica opportunistica che ha trovato spazio anche in una comunità LGBT non immune da episodi di razzismo: sono le “discriminazioni multiple”, nonostante le iniziative maturate in Arcigay e altre realtà sociali sul territorio come la casa dei rifugiati di Modena o il progetto Rise the difference di Bologna.
“Questo è sicuramente un tema sul quale non si è ancora fatto abbastanza – dice Giorgio Dell’Amico, responsabile immigrazione di Arcigay – Molti ragazzi hanno difficoltà e manca quello che accade in altri gruppi. Mi spiego: un richiedente asilo gay nigeriano difficilmente riuscirà a trovare supporto nella sua comunità d’origine, ma dall’altro lato spesso non verrà ben visto neanche dalla comunità gay. Per questo vogliamo mettere in relazione italiani e stranieri e problematiche diverse, perché l’omofobia esiste nel mondo, ma anche in Italia”.
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