Gli sospesero la patente perché gay. Vince anche in appello

Confermata in appello la condanna del ministero della Difesa e dell'Interno per aver sospeso la patente ad un ragazzo solo perché omosessuale. Ridotto però drasticamente il risarcimento: 80 mila euro.

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I titolari dei ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 20 mila euro come risarcimento danni a Danilo Giuffrida, 28 anni, nei cui confronti fu avviato l’iter di sospensione della patente di guida dopo che alla visita di leva aveva rivelato di essere omosessuale per disturbo dell’identità sessuale. Lo ha deciso la Corte d’appello civile di Catania, che ha confermato la sentenza di primo grado emessa nel luglio del 2008, ma ha drasticamente ridotto, di 80 mila euro, il risarcimento che inizialmente era stato fissato in 100 mila euro.

Contro questo ridimensionamento ha presentato ricorso in Cassazione il legale di Danilo Giuffrida, l’avvocato Giuseppe Lipera, chiedendo l’annullamento della sentenza di secondo grado, con rinvio ad altra Corte d’appello per "omessa motivazione, illogicità e erroneità nella quantificazione del danno morale". La vicenda prese avvio dalla visita di leva. Ai medici di Augusta (Siracusa) Giuffrida dichiarò di essere gay. L’ospedale militare informò la Motorizzazione civile che il giovane non era in possesso dei "requisiti psicofisici richiesti" e gli sospese la patente di guida in attesa di una revisione all’idoneità.

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Giuffrida, tramite l’avvocato Giuseppe Lipera, presentò ricorso al Tar di Catania che sospese il provvedimento osservando che l’omosessualità "non può considerarsi una malattia psichica". Contemporaneamente presentò una domanda di risarcimento danni da 500 mila euro ai ministeri della Difesa e dei Trasporti ottenendo in primo grado, il pagamento di 100 mila euro, poi ridotto in appello a 20 mila.

Giuffrida ha ribadito all’agenzia Ansa di essere ancora "incredulo e stordito". Ripercorrendo la sua vicenda, senza entrare nel merito del risarcimento danni, il giovane dice di "essersi sentito diverso soltanto in quel periodo". "Sono stati loro a farmi sentire così – sottolinea – mentre io non mi sono mai sentito differente dall’altra gente. E la sentenza dimostra che avevo ragione io: sono loro i diversi".

Adesso il contendere non è più sul contenuto della sentenza ma sull’entità del risarcimento danni, come osserva il legale del giovane: "È davvero strano – rileva l’avvocato Lipera – che lo Stato invece di chiedere scusa pubblicamente al mio assistito, a nome di tutti gli italiani, abbia deciso di ricorrere contro una sentenza che riconosce il danno esistenziale di una persona che è discriminata perché gay".

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"Va preso l’aspetto positivo di questa conferma – dice il presidente nazionale di Arcigay Paolo Patanè – evidentemente ancora una volta dai tribunali arriva un riconoscimento di diritti e tutele rispetto al quale il legislatore e’ ancora assente. Quando in una democrazia la politica perde di efficienza e i tribunali sono costretti a garantire agli individui quello che la politica non garantisce, siamo di fronte a un problema". Sul caso specifico, secondo Patanè "è chiaro che la conferma da parte del tribunale è un dato positivo, che garantisce una persona che aveva subito una clamorosa ingiustizia rispetto al danno vissuto per un periodo della sua esistenza". "Forse – aggiunge – valeva la pena di avere coraggio fino in fondo e confermare anche l’entità del risarcimento, anche perché si tratta di una vicenda esemplare. Forse, al di là della questione strettamente economica, la natura della vicenda richiederebbe di evidenziare la gravità dell’accaduto con una sanzione alta anche dal punto di vista economico". "La vicenda – conclude – conferma un trend: sempre più i tribunali in Italia sono segnalatori di una scarsa rappresentazione normativa dei mutamenti sociali. La società cambia, ma questo non si traduce in leggi e tutele e regole, a causa di uno scollamento della politica dalla società".

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