Esiste già da tempo, e non è una compressa, ma una post-profilassi composta dal cocktail di farmaci che i malati prendono ogni giorno. Uno studio condotto in Brasile su 200 persone con comportamenti sessuali a rischio ha dimostrato che il trattamento può bloccare l’infezione sul nascere. Alla Conferenza annuale sui retrovirus, in corso a Seattle, i ricercatori brasiliani hanno presentato gli esiti del loro studio. Per due anni i medici hanno tenuto sotto controllo duecento gay negativi al test dell’Hiv che non praticavano sempre sesso sicuro. Dopo ogni rapporto non protetto dovevano prendere due pillole per quattro giorni, poi tornare in ospedale per continuare il ciclo di profilassi. Alla fine, solo 11 si sono infettati, e solo uno di questi aveva seguito la cura con regolarità. Come è logico il test ha sollevato polemiche. Per molti, sapere che esiste una rete di sicurezza può incoraggiare un comportamento pericoloso.In realtà non è stato così, ha spiegato Mauro Schechter, coordinatore della ricerca: "I soggetti erano molto più disinibiti e correvano rischi all’inizio della sperimentazione che verso la fine". E la persona che si è infettata? "E’ successo perché si trattava di un ceppo di virus che si è dimostrato resistente a uno dei due farmaci impiegati", ha spiegato Schechter. La post-exposure prophylaxis (Pep) è praticata ormai da anni su medici e infermieri che hanno contatti accidentali con sangue infetto. Prevede l’assunzione di 56 pastiglie di medicinali già noti (l’AZT e il 3TC, talvolta con inibitori della protease) nell’arco di 28 giorni, e deve iniziare non oltre 36 ore dopo essere stati esposti al rischio d’infezione. Molti medici sono contrari alla sua diffusione, poiché temono che la gente si senta libera di praticare sesso non sicuro, e c’è il rischio che i farmaci non funzionino e creino ceppi virali resistenti, con conseguenze disastrose sul controllo dell’epidemia.
di Paola Faggioli
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