MOHAMMED RESTERA’ IN ITALIA

Intervista a Paolo Hutter, l'ex assessore che ha curato il caso del senegalese irregolare che ha ottenuto di non essere espulso perché omosessuale. "Ecco la nuova battaglia dei gay".

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3 min. di lettura

TORINO – Aveva ottenuto di non essere espulso in quanto irregolare, dichiarando la propria omosessualità. Che nel suo paese, il Senegal, è causa di persecuzioni anche gravi. Oggi Mohammed ha la certezza di poter restare in Italia. Ad aiutarlo, Paolo Hutter, un attivista rimasto famoso perché nel 1992, in qualità di Consigliere del Comune di Milano, celebrò delle simboliche nozze gay in piazza del Duomo. A lui abbiamo chiesto gli aggiornamenti sulla vicenda.
Allora Mohammed avrà il permesso di soggiorno?
Sì, è in dirittura d’arrivo. Domenica 20 febbraio scade il termine tecnico del possibile ricorso in Cassazione da parte della Prefettura. Siamo ragionevolmente sicuri che non ci sarà alcun ricorso.
Il procedimento è di novembre. La sentenza è del 21 dicembre. Come mai ne avete parlato così tardi?
Volevamo essere sicuri che la questura gli desse il permesso di soggiorno. Inizialmente ha detto che ci voleva la notifica della sentenza. In secondo luogo ha asserito che non glielo avrebbe rilasciato. Una volta che l’avvocato ha garantito la sicurezza a questo riguardo l’abbiamo resa nota. Credo che la questione sia stata messa al riparo dalla dichiarazione del ministro Buttiglione: “è una sentenza giusta”, quasi fosse merito del governo.
Come sta adesso Mohammed?
La sua reazione principale è soddisfazione per il permesso di soggiorno ma non sa che cosa fare della sua vita: non avendo trovato un compagno italiano, rimane fondamentale per lui l’ambiente senegalese ma non vuole manifestarsi. Ha molta paura che venga fuori la questione, che possa essere identificato. Il suo problema è stato questo fin dall’inizio: combinare la richiesta che gli ho fatto di aiutarci a rendere nota la notizia in modo che potesse essere utile a tutti gli altri immigrati e il suo terrore di non riuscire a gestire la questione di questa identità omo con i suoi connazionali che avrebbero potuto riconoscerlo. All’inizio non voleva neanche dire di essere senegalese.
Come mai ti sei occupato del problema di Mohammed?
Mi sono trovato a gestire questo caso perché questa è la nuova frontiera almeno altrettanto importante quanto quella del cosiddetto matrimonio gay. E’ un tema sempre più ricco, più vivo e più vissuto. Il riconoscimento dei diritti dell’immigrato sia in quanto tale che come partner di un italiano.
Che cosa può fare un gay straniero discriminato?
E’ importante che attrezziamo le associazioni gay e di immigrati. Poi bisogna contattare un avvocato valido. Il gay straniero discriminato può anche usufruire del gratuito patrocinio (cioè essere pagato dallo Stato) e valutare con l’avvocato di chiedere asilo costituzionale a un giudice civile. Questo per ‘prevenire’ il rischio di espulsione. Sennò non resta che fare ricorso.
La Lega ha obiettato che questo può essere un varco per viados e chicchessia al fine di entrare nel nostro paese…
In realtà pensavamo a obiezioni molto forti. A parte due battute di Calderoli non c’è stato molto di più. Il rischio è tutto da dimostrare: c’è un tabù molto forte in questi paesi. E’ assai difficile che venga usato disinvoltamente per avere il permesso di soggiorno. La possibilità di accertare se uno è o no omosessuale c’è: un giudice può capirlo ricostruendo in maniera logica e sensata la sua esistenza. La cosa buffa è che una legge come la Bossi-Fini, nata quasi per respingere gli immigrati, ha salvato questa clausola che c’era già nella Turco-Napolitano.
Tu hai celebrato nel 1992 le prime unioni civili simboliche tra gay a Milano. Come vedi adesso la situazione?
Mi sono anche divertito in questi anni. Quando ho lanciato questa idea e questa ‘rappresentazione’ era già iniziato il riconoscimento in Europa ma era appena nato. L’Italia è ormai l’unico paese che non ha nessuna forma di riconoscimento di unioni gay: è inevitabile che prima o poi arrivi. La parola ‘matrimonio’ ha però poi confuso le cose.
Rispetto ai vari modelli di matrimonio e unione gay che cosa pensi?
Possiamo anche accettare che non si chiami ‘matrimonio’. Per alcuni significa che accettiamo un compromesso. Ad altri non piace nemmeno chiamarlo ‘matrimonio’. Dovrebbe essere una cosa nuova, diversa. L’importante è che non sia un sotterfugio, un ‘andate dal notaio’, che assuma il significato di un riconoscimento sociale di piena accettazione tra amore etero e gay. Poi deve comprendere anche il permesso di soggiorno per il partner extracomunitario. Insomma, non deve essere una pura e semplice registrazione notariale di un amore di serie B.
Tra la fase di lancio dei matrimoni gay e il permesso di soggiorno omo, ti sei occupato principalmente di ambiente come assessore e giornalista ambientalista, quindi qualcosa che non c’entra niente coi gay?
Anche se ci sono molti gay che inquinano e che adorano le marmitte, credo che ci sia qualche punto in comune tra il voler difendere l’ambiente e la difesa della dignità delle minoranze sessuali: facendo un discorso scientifico è la biodiversità, cioè un equilibrio di diversità. Da un punto di vista più semplicemente politico e sentimentale le vivo molto in parallelo, sono due battaglie che faccio con lo stesso spirito controcorrente che parte da posizioni apparentemente anticonformiste e arriva a sconfiggere i pregiudizi cioè il modo consueto di produrre e consumare nel caso dell’ambiente e quello di concepire amore e famiglia nel caso della sessualità.

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