Nuova ondata omofoba in Tunisia

Dalla tv ai social, in Tunisia un nuovo round di propaganda omofobica si abbatte sulla popolazione

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3 min. di lettura
di Paolo Hutter Nuova ondata di polemiche –  tra televisioni e social media – sull’omosessualità in Tunisia. L’attenzione è stata piuttosto alta nelle ultime due settimane, senza nessun episodio di vita reale né manifestazioni di strada, salvo un’aggressione a pugni a un ragazzo ad evidenza gay nel quartiere Manouba.
Questo nuovo round è partito dalle dichiarazioni in televisione del noto attore Ahmed Landolsi che ha qualificato l’omosessualità come “contemporaneamente malattia e  peccato”. Ne sono seguite reazioni contrapposte sui social e un paio di trasmissioni su altre catene tv, di cui almeno una con Ahmed Ben Amor, il giovanissimo volto pubblico di Shams, l’organizzazione per la depenalizzazione dell’omosessualità. Successivamente sono apparse alcune foto di cartelli con scritto “Vietato l’accesso agli omosessuali” su tre esercizi commerciali di Tunisi e un taxi di Kairouan: sono apparse sulla pagina anonima “Cose che ti portano in galera”, una specie di zibaldone di curiosità e orrori, che è diventato in questi giorni una sorta di organo di attivismo online omofobico.
Le foto degli esercizi che “vietano l’ingresso” ai gay sono state rilanciate alla grande da Shams e dai profili di alcuni attivisti gay e rilanciate da un articolo di Huffington Post Magreb. Almeno uno dei cartelli è stato rimosso dal gestore dell’esercizio che li aveva messi, dopo proteste.
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Poi, seconda tappa: sono apparse foto di fogli manoscritti con frasi antigay accanto a berretti, accessori e stemmi di poliziotti e militari. “Il governo ci lasci fare e ci pensiamo noi” e frasi del genere. La pagina di Shams e di alcuni attivisti gay le ha rilanciate dicendo che la polizia e l’esercito tunisino vogliono arrestare (o far fuori) i gay. Per suscitare e raccogliere indignazione contro questi messaggi (che molto probabilmente provengono da alcuni individui, non dai vertici e non certo ufficialmente) li si amplifica e si induce che altri lo facciano per effetto imitativo.
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L’episodio più grave, ed effettivo,  è stata la cancellazione all’ultimo minuto della preannunciata intervista di un’altra tv tunisina a un giovane gay (non uno dei soliti) che avrebbe raccontato i problemi della sua condizione. La tv l’ha cancellata perché in seguito alla diffusione del trailer aveva ricevuto troppi messaggi di  protesta, forse anche di minaccia. Qualcuno ha temuto che si ripetesse la vicenda dell’autunno 2011 quando contro la trasmissione del film Persepolis ( in particolare perché nel cartone animato a un certo punto appare Dio, che parla bonariamente con la protagonista) si era scatenato un movimento di piazza accompagnato anche da un’azione della magistratura (nel collegio di difesa del direttore di quella tv c’era l’attuale Presidente della Repubblica !).
Attendiamo che qualche analista dei movimenti su Facebook e Twitter ci dica come gli sono apparsi in questi giorni i rapporti di forza tra omofobi e pro-gay ma l’impressione è che questo round si stia concludendo negativamente per la causa LGBTI. “Guardate  quant’è omofoba e liberticida la Tunisia, il governo fermi tutto ciò”: questa espressione  pura e genuina dell‘indignazione e della rabbia dei giovani gay tunisini merita tutta la nostra comprensione e solidarietà, ma è completamente inadeguata a spostare i rapporti di forza. Occorre che si pronuncino anche altri soggetti, che si esprimano altri toni, che si facciano avanzare passo per passo i diritti umani nel loro insieme. Toccherebbe alle organizzazioni della società civile che hanno vinto il Nobel per la pace, e all’Associazione Donne Democratiche, prendere un’iniziativa per garantire un quadro più solido e civile al dibattito. È nato a Milano il gruppo Ponte Arcobaleno, che farà conoscere a breve le sue iniziative.
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“Ci siamo costituiti come Ponte Arcobaleno per partecipare dall’Italia alla difesa dei diritti umani LGBTI in Tunisia. Di fronte a questa campagna di omofobia potenzialmente violenta chiediamo a ciascuno di fare la sua parte. Lo chiediamo innanzitutto alle istituzioni tunisine e al quartetto che ha vinto il Nobel, alle associazioni delle donne e per le libertà civili”.

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