Si è aperto in maniera tragica il 2002 per gli omosessuali dell’Arabia Saudita. La mattina di capodanno, infatti, tre uomini sono stati decapitati per essere stati giudicati colpevoli di "estrema oscenità e turpi atti omosessuali, sposandosi tra loro e molestando i giovani", secondo quanto ha riportato la agenzia di stampa saudita. Ali bin Hittan bin Sa’id, Mohammad bin Suleyman bin Mohammad e Mohammad bin Khalil bin Abdullah – questi i loro nomi – erano colpevoli di aver violato l’inflessibile legge coranica, che in quel paese vige e viene fatta rispettare con terrificante rigore.
L’influenza del fondamentalismo islamico nella cultura e nella politica dei paesi più vicini all’area araba, dopo i fatti dell’11 settembre scorso, riceve sempre più attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale. Così vengono continuamente segnalate nuove atrocità, come quella della condanna dell’omosessualità in Arabia Saudita, che violano completamente i più elementari diritti umani. E si rivelano anche alcune realtà sorprendenti alle quali finora non si è prestata particolare attenzione: come quella denunciata lo scorso 20 ottobre dal New York Times, secondo il quale il governo saudita e la famiglia reale di quel paese hanno destinato milioni di dollari ai gruppi fondamentalisti islamici in tutto il mondo, incluso centinaia di milioni di dollari per promuovere la loro versione particolarmente omofoba dell’Islam tra i musulmani americani. D’altra parte, non è inutile ricordare che lo stesso Osama Bin Laden è di nazionalità saudita…
La denuncia da parte internazionale della continua violazione dei diritti umani in Arabia sembra tuttavia cadere nel vuoto. Amnesty International, dopo l’esecuzione di capodanno, ha lanciato l’allarme: "Questa esecuzione è un ulteriore segnale di allontanamento del governo dell’Arabia Saudita dagli standard internazionali che invitano gli stati a non imporre la pena capitale per reati che non hanno conseguenze letali".
Ma l’appello sembra destinato a restare inascoltato: più di cento persone sono state giustiziate in Arabia Saudita l’anno scorso, per reati che vanno dallo stupro al traffico di droga, dalla rapina alla sodomia, e persino per eresia. E a maggio, sette uomini sono stati decapitati per stupro di gruppo ai danni di un uomo.
E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Nove travestiti sono stati puniti con 2600 frustate ciascuno, in pubblico, per comportamenti sessuali "devianti"; la polizia li aveva ripresi con telecamere di sorveglianza mentre si vestivano da donna. I nove sono anche stati condannati a parecchi anni di reclusione. Altri sei uomini erano stati decapitati per sodomia, travestitismo e "matrimonio omosessuale" e perché sospettati di aver abusato di fanciulli dopo averli drogati con dei sonniferi.
La condanna dell’omosessualità in Arabia Saudita ha origini nella cultura legata al fondamentalismo islamico: i giuristi più legati alle norme coraniche considerano che la sodomia debba essere trattata come la fornicazione, e punita allo stesso modo.
Secondo le antiche interpretazioni giuridiche della legge sacra, gli sposati non schiavi devono essere lapidati a morte, mente uno scapolo libero sarà frustato 100 volte e esiliato per un anno. Con queste premesse, non deve stupire se nelle sentenze appare spesso l’accusa di "matrimonio tra uomini": potrebbe essere il riferimento alle antiche norme coraniche a far sì che i giudici ricorrano spesso a questa accusa per condannare a morte dei sodomiti non sposati.
D’altra parte poco si sa di come la legge in Arabia Saudita consideri il lesbismo: Maarten Schild, autore di "Sessualità ed erotismo maschile nelle società musulmane", scrive che la legge islamica considera il sesso tra donne come "sesso fuori del matrimonio e quindi paragonabile all’adulterio", per il quale la punizione tradizionale è la morte per lapidazione per gli sposati e cento frustate per i non sposati.
La condizione delle donne, tuttavia, in Arabia, come in molti altri paesi islamici, è comunque limitata da divieti molto rigidi: le donne saudite non possono guidare, possono lasciare il paese solo con il permesso scritto di un parente maschio, e non possono neanche camminare all’aperto se non accompagnate.
Esistono nel mondo alcune organizzazioni che si occupano dei diritti delle persone omosessuali che vivono in paesi islamici, compresa l’Arabia Saudita: non esistono tuttavia, e per motivi comprensibili, organizzazioni che operino direttamente in territorio saudita. Per i gay e le lesbiche di quel paese sembra che la strada della liberazione sia ancora lunga.
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