Si ravvivano le polemiche attorno all’efficacia della PrEP contro l’Hiv, la Lila però rassicura: “Rari casi di farmacoresistenza”.
Un nuovo caso di infezione da Hiv in un individuo che assumeva costantemente la PrEP è stato reso noto alla 25esima Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche, tenutasi a inizio marzo a Boston. Una notizia che riapre il dibattito sulla terapia e dà voce alle posizioni dei detrattori della Profilassi Pre-Esposizione.
Già nel 2016 era stato registrato il contagio di due pazienti, uno a Toronto e l’altro a New York, che hanno contratto un ceppo virale di Hiv resistente alla PrEP. Fortunatamente anche questa forma del virus non è trasmissibile se il soggetto sieropositivo è in terapia e ha una carica virale non rilevabile.
Un terzo caso si era poi verificato nel 2017 ad Amsterdam. Questa volta non si è trattato di un ceppo virale farmacoresistente, ma il contagio potrebbe essere dovuto all’eccezionale numero di partner sessuali dell’individuo. Si sarebbero infatti attestati tra i 50 e 70 al mese, suggerendo l’ipotesi che l’infezione sia avvenuta in un momento in cui l’uomo aveva bassi livelli di Truvada nel sangue.
È bene ricordare che la PrEP, per la cui efficacia è fondamentale un uso costante, non fornisce una protezione al 100% contro l’Hiv. Oltre a consentire il passaggio di altre malattie sessualmente trasmissibili se non utilizzata con il preservativo.
Al momento i report sulla PrEP, nonostante questi ultimi casi, mantengono comunque un giudizio positivo sul suo utilizzo, sia in termini di prevenzione, sia in relazione alla possibile diminuzione dello stigma sulle persone sieropositive.
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