La comunità LGBT di Londra, da alcune settimane, sta facendo sentire la propria voce nella City per una ragione davvero lodevole: l’apertura di un museo della cultura queer in città.
I manifestanti si sono presentati in diverse location con scatoloni rosa shocking a rappresentare gli archivi in cui è contenuta la storia della comunità, e all’urlo di “Perché la nostra storia deve rimanere a prendere polvere negli armadi?”, hanno chiesto a gran voce una sede permanente per un museo LGBT.
Le manifestazioni si sono svolte in luoghi-simbolo della città: le molly houses, ovvero i luoghi di ritrovo d’epoca vittoriana per la comunità gay, il Gateways Club, primo locale lesbo del paese, la Charing Cross Gender Clinic che dal lontano 1966 offre assistenza medica alla comunità trans e Regent’s park, dove nel 2006 si è svolto il primo black pride di Londra.
Le proteste, chiaramente pacifiche, si sono fatte portatrici di diverse istanze, tra cui la necessità che la storia della comunità gay non rimanga relegata ai margini della società, ma venga assorbita anche dalla cultura mainstream, eventualmente con l’insegnamento della materia all’interno delle scuole.
Non è un caso che questa richiesta sia arrivata alle soglie del 2017, nel cinquantenario del Sexual Offences Act, un provvedimento che, nel 1967, depenalizzava l’omosessualità e legalizzava l’aborto.
La nuova fase di “lotta” del mondo LGBT inglese nasce anche come risposta al fenomeno di gentrificazione che ha portato alla chiusura di diversi luoghi emblematici per tutta la comunità, come Madame Jojo’s, il The Joiners Arms e il The Black Cap.
Gli organizzatori dell’evento reputano l’apertura di questo museo come un fattore cruciale nel processo di normalizzazione, e per il superamento dei pregiudizi verso la comunità: purtroppo, nonostante la centenaria storia della comunità LGBT di Londra, mancano luoghi di riconoscimento. Non ci sono centri di ritrovo, centri d’arte, musei, o iniziative di social housing che rappresentino il mondo queer. La città appartiene anche alla nostra comunità, ed è giusto che questa trovi un proprio luogo di riconoscimento, ed è ciò che entro il 2017 vorrebbero ottenere i manifestanti.
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