SANTA BARBARA – Mercoledì scorso, il Centro per gli Studi delle Minoranze Sessuali nelle Forze Armate (CSSMM) dell’Università di Santa Barbara in California, ha reso pubblica la storia di un soldato americano che dichiara di essersi dichiarato alla maggior parte della sua unità mentre era in servizio nel Medio Oriente all’inizio di quest’anno.
Il CSSMM riferisce che il soldato, che è stato chiamato “Ryan”, sarebbe il presidente della Gay and Lesbian Service Members for Equality (www.glsme.org). Secondo il sito della GLSME, il gruppo è composto da 15 membri in servizio attivo nelle forze armate statunitensi. I soldati si sono uniti per combattere la discriminazione, perché credono che dei buoni soldati siano stati congedati perché gay, in un periodo in cui invece l’America ha bisogno di loro.
Ryan afferma di essere stato destinato in Medio Oriente per sei mesi, e ha riferito alla CSSMM che il fatto di essere dichiarato non ha gravato minimamente sulla coesione della sua unità, contrariamente alle preoccupazioni espresse da molti critici che spiegano così perché i gay e le lesbiche non dovrebbero prestare servizio nelle forze militari.
«Specialmente in una situazione di combattimento – ha detto Ryan al CSSMM – è proprio l’ultima cosa di cui ognuno si preoccupa. Ciò che conta è fare bene il proprio lavoro». Secondo il soldato, ciò che davvero rovina la coesione dell’unità è la politica del “don’t ask, don’t tell”, letteralmente “non chiedere, non dire” secondo la quale i gay possono servire nell’esercito purché tengano privato il loro orientamento sessuale. Ryan ha detto che questa regola rovina i legami perché gli uomini e le donne in servizio devono stare in guardia dalla possibilità di dire qualcosa che possa anche solo lontanamente vista come condotta omosessuale. «Quando ero in un’unità i cui membri non sapevano di me, è stato più difficile creare relazioni interpersonali tali da consentire alle persone di andare in guerra insieme».
Nathaniel Frank, memebroanziano del CSSMM, che ha intervistato Ryan, ha detto al network Gay.com/PlanetOut che la storia di Ryan è la prova che il “don’t ask, don’t tell” mette addosso ai soldati un carico ingiusto.
«La storia di Ryan dimostra innanzitutto che la legge interferisce con i soldati nel processo di relazione – ha detto Frank – E anche che il fatto che il fatto che alcuni soldati gay siano dichiarati non inficia la coesione. E credo sia per questo che Ryan abbia deciso di andare avanti per questa strada».
Melissa Sheridan Embser-Herbert, professore di sociologia alla Hamline University e ex-capitano dell’esercito USA, ha detto al CSSMM che il “don’t ask, don’t tell” non riguarda solo i soldati gay, ma pretende che tutti i soldati “facciano di tutto per essere considerati eterosessuali”. «La parte che mi ha davvero scioccato – ha detto – è stato il numero di donne che parlava dei loro fidanzati o del fatto di fare sesso con uomini per rassicurare tutti della loro eterosessualità».
Ember-Herbert ha aggiunto: «Si crea un ambiente in cui i soldati sono obbligati ad assicurarsi che le persone credano che loro sono etero, e questo crea una invasione della loro privacy».
L’ex presidente Bill Clinton, che reso legge la “don’t ask, don’t tell” nel novembre 1993, ha espresso dubbi riguardanti al sua efficacia e equità. Il 6 ottobre, la Servicemembers Legal Defense Network (SLDN) ha reso pubblica una lettera di Clinton nella quale scrive che “in poche parole, non c’è nessuna prova che induca a sostenere l’esclusione degli omosessuali dalle forze armate”. Clinton aggiunge che “la discriminazione è ingiusta, e restringe ingiustamente il bacino di talenti disponibili per la vita militare, e questo diminuisce la sicurezza… Se puoi servire nel corpo di polizia o nella FBI o se puoi essere un membro del Congresso, non c’è motivo per cui tu non possa essere un soldato, un marinaio, un aviatore o un Marine”.
di Gay.com
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