È tarda sera quando Andrei entra nell’unico gay club di Samara, una delle città più grandi della Russia a metà tra Mosca e il Kazakistan (circa 1.000 km e dalla capitale e dallo Stato confinante). L’atmosfera non è quella tipica del sabato sera, con la musica ad alto volume e la fila di fronte alla porta, che aspetta impaziente di entrare: il club è vuoto, non c’è attesa fuori e non ci sono macchine parcheggiate. È ormai quasi l’una e non arriverà ancora molta gente.
Samara conta più di un milione di abitanti e nel 2012 aveva sette locali gay: oggi ne è rimasto solo uno, che è costretto a nascondersi dietro una facciata falsa per non subire incursioni. La città è una di quelle col più alto tasso di omofobia in tutto lo Stato e in Russia, come spesso abbiamo scritto negli ultimi mesi, il livello è pericolosamente alto ovunque. “Ci sono sempre le solite due persone, è diventato noioso venire qui: i preservativi che distribuiscono gratis rimangono lì per mesi“, racconta Andrei. “Mi piacerebbe potermi vestire da donna anche fuori da questo club, ma non posso farlo. Mi pesterebbero a sangue, e devo farlo solo all’interno di queste mura”, rivela l’unica drag queen impiegata nel posto.
La città è situata sul fiume Volga e negli anni passati numerosi episodi di violenza si sono verificati: nel 2009 un ragazzo di 22 anni è stato picchiato fino alla morte, e il suo aggressore è stato condannato per l’omicidio a 5 anni e mezzo di carcere, la pena più bassa mai attribuita per una uccisione in tutta la Russia. Poche settimane fa, un gruppo di transessuali che si era costruito una sorta di rifugio in un isolotto del Volga, raggiungibile solo via barca, è stato brutalmente assalito da un gruppo di omofobi: Alexia, una delle aggredite, è stata costretta ad aspettare nove ore nella centrale di polizia locale per denunciare l’accaduto nonostante avesse naso rotto e occhi neri, oltre che numerose ecchimosi su volto e corpo, e non fosse ancora stata portata in ospedale. Il caso, alla fine, è stato archiviato.
“La polizia pensa che non siamo persone normali”, afferma Alexia, che ora si trova nel Volga Centre, un piccolo centro autogestito dove le persone colpite da attacchi omofobi possono rifugiarsi. Il luogo è stato messo in piedi da Avers, l’unica associazione LGBTI presente nel raggio di chilometri, di cui Oksana Berezovskaya, un’avvocato locale, è la direttrice.
“Le leggi in Russia ci considerano come degli schiavi dell’Antica Roma, siamo persone di grado inferiore”. Il suo telefono non smette mai di suonare, e la sua piccola organizzazione è costantemente monitorata dalla polizia, che cerca ogni piccolo pretesto per incastrarle: “Non facciamo mai nessuna violazione quindi non possono contestarci nulla, ma vogliono comunque punirci in qualche modo“.
Grazie ad Avers e al Volga Centre, i ragazzi LGBTI di Samara possono ancora avere un ultimo, remoto luogo dove stare. E sperare che qualcosa nel loro Paese cambi, una volta per tutte.
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