Alla fine ce l’ha fatta: Simone Pillon, fondatore del Family Day, è stato eletto tra le fila della Lega e già minaccia la Legge Cirinnà.
Tra le conseguenze più spiacevoli di quest’ultima tornata elettorale prodotta dall’avanzata delle destre è sicuramente l’elezione in Parlamento di Simone Pillon, uno dei maggiori esponenti degli integralisti nostrani.
Contrariamente ad altri esponenti dell’omofobia militante come Mario Adinolfi, Simone Pillon fa parte della fazione che ha scelto di far confluire i propri voti alla Lega. Insieme a lui, ma fuori dal Parlamento, anche Massimo Gandolfini, che ha già promesso la chiusura dell’Unar, curiosamente creato proprio dal centrodestra sotto il governo Berlusconi.
Nemmeno il tempo di formare un governo o una maggioranza parlamentare, che il neosenatore ha già messo le unioni civili nel mirino: “Sono diventate l’anticamera delle adozioni gay, che a loro volta vanno a legittimare l’utero in affitto – ha già spiegato Pillon al Giornale di Brescia – Sia chiaro: in privato le persone possono agire come credono, ma il matrimonio è tra uomo e donna e in questo non c’è alcuna volontà discriminatoria”.
Nonostante il centrodestra sia orfano di Eugenia Roccella e Roberto Formigoni, tra i più noti omofobi rimasti fuori dal Parlamento, Simone Pillon è purtroppo in ‘buona compagnia’; sono stati infatti rieletti tra gli altri Maurizio Gasparri, Lucio Malan e Paola Binetti.
Se l’ostilità di Pillon verso la comunità LGBT è ben nota, non va meglio per altre minoranze o per altre istanze legate ai diritti civili: dallo ius soli, al testamento biologico, all’accoglienza dei migranti è tutta una corsa alla chiusura e al regresso. Solo sulla regolamentazione della prostituzione, casualmente uno dei temi storici della Lega, il neosenatore si mostra aperto al dialogo.
Fortunatamente l’obiettivo di Pillon non sembra a portata di mano: sebbene la legge Cirinnà sia di tipo ordinario e quindi modificabile a maggioranza da qualunque esecutivo, risponde a diritti riconosciuti sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Che sarebbero pronte a dare ragione a piogge di ricorsi da parte della comunità LGBT.
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