Ecco come una foto ha scatenato l’odio oscuro per le donne transessuali

La presunta foto di una donna transessuale picchiata a Roma, circolata in rete nei giorni scorsi, ha portato a galla problemi etici sui quali è il caso riflettere.

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C’è una foto di una donna transessuale con ecchimosi sul volto, senza una scarpa, che giace a pancia in su per terra, sull’asfalto sudicio, vicino ad una fermata dell’autobus. C’è un ragazzo che vede distrattamente questa foto circolare sulla sua bacheca, conosce la donna in questione, la condivide e tagga i suoi amici. Ci sono i suoi amici che iniziano a schernirla, “guarda npo il merdoso“, “oh t’assomia“, “ma che v’ha fattooooooooo chi gli ha menatoooooo“, “boh non se sa pero lo stimo chi gli ha menato“. C’è l’odio di una borgata di giovani della periferia est di Roma, l’intolleranza di un gruppo di piccoli bulletti, la transfobia che si sviluppa in un contesto sociale e culturale asfissiante, ma che non attecchisce su tutti.

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La vera notizia di questa vicenda è l’orrore che è stato generato da una non-notizia, bisogna ammetterlo. Non risultano denunce recenti fatte alla polizia, nessuno sembra essere a conoscenza di un’aggressione, anche se alcuni dicono di aver visto la donna, “era sempre sul 313 o forse sul 314“. Le uniche testimonianze di una presunto agguato sono i commenti di quei ragazzi su Facebook. Poi arriva un’assistente sociale e per vie traverse fa sapere che la donna è effettivamente una transessuale (poiché neanche questo era chiaro), che “vive una situazione di disagio nota da tempo agli operatori della zona e che probabilmente non c’è stato nessun pestaggio, la donna si sarebbe verosimilmente accasciata a terra dopo un malore”. La donna transessuale verterebbe “in uno stato di abbandono e avrebbe bisogno di ben più d’un ricovero notturno, le servirebbe un aiuto concreto da parte dei servizi sociali”, finora mai arrivato.

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La vera notizia in tutta questa storia è quindi l’odio. Quello scatenatosi da un branco di minorenni posto di fronte a foto del genere, un odio immaginifico e vendicativo. L’odio di un’assistente sociale che utilizza un linguaggio poco idoneo ad inquadrare una situazione delicata come quella di questa donna e che manifesta disprezzo irrazionale, risentimento. Ma è anche l’odio di una parte (piccola, per fortuna) della stessa comunità LGBT, che sa cos’è l’omofobia ma non sa cos’è la transfobia e basa i propri giudizi su cliché conclamati e discriminatori. “Una persona poco stabile, alcolizzata e violenta, che approfitta dell’ospedale per vitto, alloggio, igiene e abiti puliti, per poi uscire la sera e tornare a prostituirsi”, ha scritto un ragazzo gay sulla nostra pagina. “Magari li aveva provocati, lo fanno spesso i trans”, ha scritto un altro.

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C’è la possibilità che non ci sia stata alcuna aggressione. Lo spettro di variabili sul perché la donna fosse a terra è vastissimo: potrebbe essere stata aggredita o potrebbe essere svenuta per il caldo, per la stanchezza, per alcol o per droga. La foto potrebbe essere di una settimana o di un anno fa. Ma è agghiacciante quello che una foto del genere, anonima e spersonalizzata, senza alcun riferimento riconducibile direttamente a qualcosa di concreto, ha provocato su una piattaforma di così ampia distribuzione come quella di Facebook.

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Il dato che conta e che dovrebbe indignare è soprattutto il fatto che questa persona non sia stata soccorsa. Chi ha fotografato ha pensato più a rubare uno scatto che a cercare di risolvere la situazione, a soccorrere la vittima. Ha pensato a usare la situazione per divertirsi e divertire, come se fosse un’attrice, una recita. Solo a noi tutto questo sembra incredibilmente inquietante?

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