Camilla e Adriana ieri si sono unite civilmente nel carcere di Rebibbia, dove entrambe sono detenute per questioni di droga. A celebrare l’unione il vicesindaco di Roma Daniele Frongia. La storia tra le due ragazze è nata dietro alle sbarre: all’inizio condividevano la cella con altre recluse ed erano solo amiche, poi è nato l’amore.
Adriana è originaria della Polonia ma i suoi si sono stabiliti nel Lazio: sapeva già di essere lesbica quando è entrata in carcere e la sua pena finirà l’anno prossimo. Camilla invece sudamericana e rimarrà a Rebibbia fino al 2019, anche se ormai, già da qualche tempo, esce durante il giorno per lavorare.
La loro ottima condotta è stata uno dei motivi che hanno portato gli psicologi e gli educatori a sostenere la loro relazione e ad aiutarle a mettere in atto il loro sogno di unirsi civilmente. Non è mancato niente durante la cerimonia: fori, regali, bomboniere torta nuziale e fedi con incise i loro nomi. Presenti, oltre ai genitori, un ventina di invitate del braccio femminile, le agenti, le operatrici e la direttrice.
È la prima volta che due detenute si uniscono civilmente in carcere e che hanno la possibilità di vivere insieme. Condividevano già la cella e separarle ora, hanno fatto presente dal Ministero, sarebbe una cattiveria inutile e senza motivo.
Il dibattito in tema di riforma dell’ordinamento penitenziario – anche sull’affettività dei detenuti – è in corso da diverso tempo. In particolare, il progetto, già in fase avanzata, sulla questione degli incontri tra persone unite o sposate, una delle quali sia detenuta, ha buone possibilità di concretizzarsi: al Ministero si sta valutando di creare degli ambienti nelle strutture penitenziarie per consentire momenti di intimità.
La vicenda di Camilla e Adriana apre dunque uno scenario nuovo e importante nell’ambiente carcerario, dove le sezioni sono rigidamente separate per genere. Le cose dovranno necessariamente cambiare: se l’unione fosse stata tra eterosessuali la separazione sarebbe inevitabilmente avvenuta un minuto dopo il sì.
Fonte: Repubblica
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