Cari gay e lesbiche, c’è bisogno di sporcarsi le mani. Tutti.

Cari gay e lesbiche, c'è bisogno di sporcarsi le mani. Tutti. - gay azione - Gay.it Blog

gay_azione2Qualche giorno fa, uscendo dal bar, c’era un africano che chiedeva l’elemosina. Ho guardato nel portafogli – era mattina presto, temevo fosse affamato e mi sentivo male all’idea che io avessi preso cappuccino e cornetto e lui no – e gli ho regalato un euro. Taglio forse per qualcuno un po’ eccessivo (e non lo nego, anche per me), ma mi è venuto in mente il faccione di Salvini e ho pensato: e vaffanculo! E così ho fatto, mentre il ragazzo sgranava gli occhi e mi ringraziava.

Racconto questo aneddoto per introdurre un’altra questione, che è appunto quella della solidarietà tra minoranze. Nel mio caso, si è trattato di un’interazione gay-migrante. Immigrati, persone LGBT e rom sono le tre categorie maggiormente discriminate, a livelli sicuramente diversi tra loro, dalla società dei normati che si sentono “normali”. Una forma di solidarietà esterna, nel caso specifico. Poi ci sono forme di solidarietà interna, quelle tra persone appartenenti alle singole categorie.

Registro – ma è solo una mia impressione, per cui questo discorso ha il limite dell’opinabilità di ogni esperienza soggettiva – uno scarso appoggio dentro la stessa gay community. Partiamo dai soliti luoghi comuni, quali “le associazioni LGBT pensano solo ai soldi, a fare le feste e fanno schifo” conditi con un imprescindibile “gne gne gne” di sottofondo. Poi chiedi a chi pronuncia questi discorsi “Ma tu cosa fai per la tua comunità?” e la risposta classica è: gay_azione1“Sei arrogante e offensivo, addio!”. La fuga, quindi, rispetto a un’assunzione di responsabilità. Ci sono, ancora, le innumerevoli e immancabili critiche sui pride e sulle nudità, fino all’inclusione dei poliamoristi, ecc. E su questo punto si è discusso abbastanza e credo sia inutile tornarci, almeno in questa sede. Quindi il discorso, nella sua formulazione più quotidiana, si sposta sulla moralità delle associazioni, dipinte ora come uffici stampa per discoteche, ora come luoghi in cui si consumano interessi particolari che farebbero arricchire chi ci sta dentro. Una volta mi si disse che facevo il gay di professione e che mi ero arricchito a spese della comunità: peccato che io insegni (come precario) e percepisca un reddito di 1300 euro al mese. Da dove sia arrivata questa “accusa” di opulenza mi sfugge, ma temo che derivi dall’associazione mentale per cui se sei in Arcigay (o al Mieli o altrove) speculi su immaginarie ricchezze a discapito di una società intera. Riflesso, temo, di un certo moralismo a buon mercato che investe tutta la politica e che riduce in automatico l’impegno civile ad escamotage per fare affari, possibilmente loschi.

Mi sono domandato – anche sui social – dove sono tutti i “froci perbenisti” antipride ora che serve una mano dopo il Family Day. Ne è seguita la solita risposta contro le realtà politiche LGBT. Ho chiesto prova di impegno su quel versante – se pretendi una certa ottimalità, dovrai pur avere i titoli per esigerla, no? – e sono piovute le solite accuse gay_azione3di essere intolleranti con chi la pensa diversamente (e forse abbiamo capito da dove le sentinelle prendono in prestito certe perle argomentative). I più temerari, quelli che di giorno criticano le serate dove poi vanno a perdere la loro pretesa di dignità, se ne escono con: “non ho bisogno di voi, il mio pride lo faccio ogni giorno a lavoro e in famiglia”. E adesso buon per loro se vivono bene la loro identità nel quotidiano, ma a parte il fatto che poi bisognerebbe appurare quanto sia vera questa affermazione in termini concreti, c’è da chiedersi grazie a chi tutto questo, oggi nel 2015, è possibile. Forse per merito del lavoro di volontari e volontarie che, per tutto l’anno, organizzano dibattiti con i politici, fanno educazione alle differenze a scuola, campagne contro l’HIV, danno sostegno psicologico e legale, ecc. E si badi, tutto questo ha un costo e noi non abbiamo l’otto per mille dello Stato con cui le parrocchie poi pagano i pullman per piazza San Giovanni, per capirci. Quindi ben vengano le serate in discoteca che finanziano tutte queste attività.

E ritornando ancora al discorso dell’immigrato di cui sopra e del vostro pride personale e solitario: no, ragazzi miei, quegli atti non sono né pubblici né politici. Sono, appunto, piccole cose (e sicuramente molto importanti) che si esauriscono nel vostro mondo, ma che non necessariamente hanno una ricaduta sociale più ampia. Sarebbe come dire, quando fai l’elemosina, che contribuisci attivamente al problema dei rifugiati. E così non è. Ti fa sentire in pace con te stesso, e va benissimo. Ma sporcarsi le mani è un’altra cosa.

(foto credit: Andrea Contieri, Roma Pride 2015)

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