Aveva suscitato scalpore e preoccupazione in molti il passaggio dell’informativa riportato da "il Giornale" di Feltri secondo il quale il direttore di "Avvenire" sarebbe stato "attenzionato dalla Polizia di Stato" in quanto "noto omosessuale".
Le associazioni lgbt, il partito di Di Pietro, i deputati dei Radicali eletti nelle liste del Pd e molti altri si erano chiesti per quale ragione la Polizia di Stato schedasse gli omosessuali. Infatti,la pratica di ‘tenere d’occhio’ i gay in quanto tali, utilizzata dalle forze dell’ordine fin dai tempi del fascismo, dovrebbe essere dismessa da più di dieci anni, come testimonia questo scritto del Garante della Privacy.
Il "caso Boffo" ha riportato la questione all’ordine del giorno al punto che alcuni parlamentari hanno interrogato, in proposito, il Ministro degli Interni Roberto Maroni che, a sua volta, ha chiesto al capo della Polizia Antonio Manganelli di accertare se esistesse o meno un fascicolo che riguardasse le abitudini sessuali del direttore di Avvenire. Manganelli ha risposto a Maroni che "né presso la questura di Terni (luogo dell’inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere. E’ inutile – ha precisato Manganelli – aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti".
Intanto, però, il Giornale ha pubblicato quello che sostiene essere l’originale dell’ormai famigerata informativa che riporta la frase che ha scatenato il putiferio. Insomma, la questione sembra tutt’altro che chiusa.
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