La partita che si sta giocando nel Congresso Nazionale che Arcigay terrà dal 12 al 14 febbraio a Perugia riguarda tutti. Tesserati e non.
Arcigay è, nel bene e nel male, la principale organizzazione gay italiana. Ha mille difetti, molti dei quali sono stati denunciati a più riprese proprio su questo portale, tanto che siamo stati accusati di volerla sfasciare, ma è legata a quattro mandate alla qualità della vita di tutti noi, alle possibilità di veder riconosciute in questo paese le nostre coppie o ad avere una legge decente contro discriminazioni ed omofobia. Se Arcigay non funziona, o funziona male, come è successo da alcuni anni a questa parte, ne risentiamo tutti noi: tesserati Arcigay e non, militanti, militonti, menefreghisti o qualunquisti, donne o uomini, gay o bisessuali, visibili o ancora nell’armadio.
È per questo che Gay.it sta seguendo con così tanta attenzione i congressi provinciali che si stanno tenendo in giro per l’Italia.
Io personalmente non ho nascosto le mie simpatie per la mozione Essere Futuro: intanto perché è l’unica ad avere un candidato Presidente, mentre l’altra – Inarrestabile cambiamento – non è riuscita neppure ad esprimere un nome; poi perché quel candidato – il siciliano Paolo Patanè – è persona capace, determinata e testarda; infine perché le sue idee di rinnovata trasparenza, forte rinnovamento ed apertura democratica dell’associazione sono assolutamente condivisibili.
Paolo sta vincendo la partita: ad oggi, sui 40 congressi che si sono tenuti, la sua mozione ne ha vinti 29, oltre il 70% quindi. Su 172 delegati eletti dai congressi provinciali, ben oltre la metà sono favorevoli alla sua mozione, tra cui – con grande sopresa – quelli di due città che venivano date amiche di Aurelio Mancuso, Milano e Bologna. Ma nel cammino che lo sta portando a diventare presidente della principale associazione gay italiana, ci sono alcune ombre che vogliamo sottolineare e che lo costringeranno a mettersi ancora di più al lavoro, una volta eletto, per riformare profondamente Arcigay..
Il primo elemento su cui occorre riflettere è la scarsissima partecipazione al congresso. Due esempi? A Ferrara ad eleggere i 5 delegati sono stati 7 votanti, mentre a Napoli 17 persone hanno scelto 9 delegati. Ci sono circoli importanti, come ad esempio quello di Firenze dove a votare i 6 delegati fiorentini sono stati 7 votanti. Sì, avete sentito bene: in una provincia di poco meno un milione di abitanti, dove quindi abitano almeno 50.000 persone lgbt, il Congresso ne ha richiamati solo 7. Alla faccia della democrazia e della rappresentatività.
Insomma, quello che si profila è purtroppo un congresso autoreferenziale, dove il numero dei votanti dei 44 congressi provinciali non sarà molto superiore al doppio delle persone delegate. Questo è solo uno dei tanti esempi del fallimento degli anni della Presidenza di Aurelio Mancuso: è il risultato diretto di aver spremuto l’associazione, di aver allontanato tanta gente, di aver esercitato un autoritarismo che fa a cazzotti con la democrazia che una associazione deve saper coltivare, di aver cresciuto circoli con rais locali autoreferenziali e senza nessun contatto con la comunità gay.
La seconda considerazione riguarda la democrazia dell’associazione. Una associazione come Arcigay deve garantire la democrazia interna, tanto più che ad avere diritto di voto teoricamente non sono soltanto i militanti che frequentano i circoli cosiddetti “politici”, ma anche i decisamente più numerosi tesserati dei bar, delle saune e delle discoteche affiliati ad Arcigay. Prendiamo quanto è accaduto sabato a Roma. Nella capitale il suo Presidente, Fabrizio Marrazzo, è persona da più parti discussa: io stesso, tempo fa, avevo criticato Aurelio Mancuso perché aveva deciso col suo solito autoritarismo di defenestrarlo dalla segreteria nazionale senza darne motivazione alla stampa che legittimamente gliene chiedeva conto, ma non ne avevo mai preso le difese definendolo, per l’appunto, "personaggio discutibile". Essendo Marrazzo uno dei più vivaci sostenitori di Inarrestabile Cambiamento, era possibile che i suoi numerosissimi oppositori locali, regolarmente tesserati ad Arcigay, provassero ad esprimere un voto a lui contrario nel congresso provinciale convocato per sabato: era loro diritto farlo così come era dovere di Marrazzo e di Arcigay Nazionale garantire loro questo diritto. Così non è stato. In una pagina decisamente cupa per la democrazia interna dell’associazione, Marrazzo, con la complicità di chi governa ancora oggi Arcigay Nazionale, ha leso gravemente uno dei diritti fondamentali degli iscritti, che è quello di votare nel congresso: ha messo due bodyguard all’ingresso, ha videoregistrato il congresso senza avere alcun consenso e soprattutto ha impedito il voto ai tanti che, sebbene con la tessera in tasca, dovevano rinnovarne la quota associativa, applicando rigidamente l’orario previsto per la prima convocazione del congresso (orario che è utile solo a limitare il voto, ma non ai fini della maggioranza richiesta per l’elezione). Una gravissima violazione dello Statuto Nazionale, su cui il Presidente Nazionale Aurelio Mancuso si è guardato bene dal prendere posizione, segno ulteriore del decadimento in cui ha lasciato precipitare l’associazione, durante tutti gli anni della sua presidenza.
Insomma, in questo sfacelo, non ci resta che augurare buon lavoro a Paolo Patanè. Ne avrà molto da fare. Ed il supporto di tutti noi sarà determinante, perché determinante è e rimane il ruolo dell’associazione che ci auguriamo venga chiamato a guidare.
Alessio De Giorgi
Direttore di Gay.it
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