Polisse, film shock: l’allenatore pedofilo coltiva campioni

L'opera terza di Maïwenn sugli abusi ai minori alza l'asticella della provocazione intellettuale: un allenatore gay è pedofilo ma va difeso perché ama i suoi ragazzi. Premio della Giuria a Cannes.

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È semplicemente un film shock, "Polisse" di Maïwenn, vincitore di un discusso Premio della Giuria a Cannes davanti a "Melancholia" e "The Artist".Shock perché lo spettatore non si aspetta certo una commedia molto dialogata, isterica, costruita come una sitcom in digitale che potrebbe non avere mai fine, senza un centro, strutturata come un rivolo entropico di storie su un dipartimento di polizia parigino, la Brigade de Protection des Mineurs, più vero del vero. Shock perché la regista Maïwenn Le Besco detta Maïwenn, attrice e sceneggiatrice al suo terzo film, non ci risparmia nulla, in particolare il parto di una bambina nata morta, frutto di una violenza, con feto in primo piano: scena che ha turbato in sala molte donne. Ed è proprio lo stile iperrealista a spiazzare lo spettatore – non siamo forse abituati a vedere inseguimenti mozzafiato, personaggi eroici ma distanti, violenze psicologiche estreme censurate? – immergendolo nella vita di tutti i giorni, dove i poliziotti fanno un lavoro ‘come gli altri’, hanno casini famigliari come tutti ma rischiano il ‘burnout’ da stress forse più di tanti.

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Anche il ritmo del film richiede una sospensione del giudizio, fino a decantazione avvenuta: accelerazioni narrative, bruschi stop, scene madri, clip interlocutorie, una struttura corale molto densa, belle idee (la separazione mamma/figlio, il blitz nel campo nomadi, la fotografa ‘insider’ interpretata dalla stessa Maïwenn), cadute paurose (il ballo in discoteca, l’istericata tra amiche, l’incongruo finale), un po’ dramma e un po’ commedia, a tratti serissimo, a tratti ironico, cinema ma anche tv, fra Dragnet e Criminal Minds. Poi, verso la fine, viene introdotto un bellissimo personaggio: un allenatore gay, molto legato ai suoi pulcini, dallo sguardo splendido e sincero. La regista sembra dirci che la sua pedofilia presunta altro non è che amore, attaccamento quasi filiale, passione assoluta: tesi ardita, che in sala ha suscitato mugugni. Eppure, il montaggio alternato con le riassegnazioni dei posti in polizia e la prova atletica col bimbo che vince la coppa è semplicemente straziante.

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Un film come Polisse aiuterà il dibattito sulla questione pedofilia? Verrà compreso a fondo? Contribuirà a evitare la tragica associazione pedofilo = omosessuale? Forse per il pubblico italiano un film come Polisse, distribuito con coraggio da Lucky Red, è troppo estremo, provocatorio, a tratti anche sibillino (perché il colpo di scena finale?).

Eppure fa riflettere, fuori dalla sala causa discussioni accese, non lascia affatto indifferenti.

Cast affiatatissimo: Karin Viard è perfetta nel ruolo della stressata Nadine, Frédéric Pierrot è il magnifico Baloo, il delicato Nicholas Duvauchelle ("Gli amori folli") è il deciso Mathieu, la music star di colore Joey Starr è l’ago della bilancia Fred.

Spunta persino il nostro Riccardo Scamarcio in un ruolo brutto e inutile, ovviamente il latin-lover monodimensionale che crede di risolvere tutto con pizza e… sesso.

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Maïwenn Le Besco, compagna di Luc Besson, ha studiato l’argomento direttamente nel reparto di polizia francese ("Quello con meno risorse in assoluto") ed è una di quelle tipiche attrici che sembrano racchie o sublimi, a scelta, con un colpo di spazzola e un po’ di trucco. In una splendida scena a sorpresa compare con tutta la famiglia: chiunque abbia dei figli può essere coinvolto nel dramma degli abusi sui minori, indipendentemente dal ceto sociale.

Da vedere.

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