Il loro documentario ‘Improvvisamente l’inverno scorso’, apprezzato reportage misto a riflessione domestica sul naufragio dei DiCo, a Berlino ha fatto il botto, accontentando pubblico e critica. E loro due, Gustav Hofer e Luca Ragazzi, documentarista e presentatore televisivo altoatesino il primo, critico cinematografico romano il secondo, sono davvero una coppia ‘doc’ anche nella vita: fidanzamento blindato da otto anni, colorato appartamento in comune al Pigneto, e tutto lo scoramento di chi non vede riconosciuto alcun diritto giuridico alla propria convivenza ‘more uxorio’. E visto che i distributori italiani non si muovono, sono loro stessi a partire in tour per presentare il loro film in giro per l’Italia.
Siete in partenza per un tour in giro per i cinema della penisola. Come è nata questa iniziativa?Gustav Hofer: Dopo Berlino abbiamo aspettato due settimane in attesa di una distribuzione commerciale ma non l’abbiamo ancora trovata. Ci siamo resi conto di quanto sia importante che il film
venga visto prima delle elezioni: durante il festival Berlino, ma in realtà già prima, ci sono arrivate un sacco di proposte da cinema e circoli d’essai, così abbiamo messo insieme tutti questi contatti. Facciamo una sorta di tour preelettorale: è come se l’argomento dell’omosessualità fosse diventato una specie di tabù durante la campagna politica. Saremo noi a presentare il tema delle unioni di fatto. Saremo in una ventina di città, iniziamo domani al cinema Apollo di Roma.
A Berlino, il film è stato accolto molto positivamente sia dal pubblico che dalla critica e avete sfiorato il Teddy Bear finendo nella terzina dei premiabili. Che sensazioni avete provato?G. H.: È stato l’unico film italiano che ha avuto riconoscimenti (menzione speciale al Manfred Salzgeber Award, n.d.r.). Fino al
giorno della proiezione non abbiamo capito quello che stava succedendo. Il giorno della prima è stato bellissimo, è arrivata mia madre con le mie sorelle, abbiamo invitato i nostri amici. Quando siamo entrati al cinema è stato davvero emozionante: la sala era stracolma con gente seduta sugli scalini! Il pubblico ha riso nei punti giusti, ci sono stati anche applausi a scena aperta.
Che percezioni hai avuto soprattutto da parte degli stranieri sulla questione gay italiana?G. H.: Nessuno si aspettava questa presenza così forte del Vaticano nella politica interna italiana, secondo me non erano così consapevoli delle ingerenze di vescovi e cardinali. Né erano a conoscenza di come, in Italia, questa omofobia sia stata strumentalizzata dai media.
Avete qualche contatto internazionale per la vendita del film?
G. H.: Dobbiamo decidere tra un paio di offerte e siamo propensi per una società berlinese.
Il vostro è un progetto assolutamente indipendente. Non sarebbe utile unire le forze per portare avanti un movimento al fine di promuovere il cinema gay italiano?G. H.: Il nostro non è un film gay ma sui diritti, omosessuali ma anche eterosessuali. Non credo nell’importanza di creare un ghetto: il mercato è quello che è, si rischia di essere messi nel cassetto come ‘registi gay’.
Tu, Luca, sei alla tua prima esperienza cinematografica. Com’è stato lavorare col proprio compagno? Luca Ragazzi: È stato tutto merito suo, mi ha quasi obbligato, mettendo persino la videocamera nascosta. Dopo aver visto le 35 ore di girato gli ho detto che non gli avrei mai dato il consenso. Invece poi, grazie anche all’occhio esterno della montatrice Desideria Reyner, sono stato rassicurato: mi sono affidato a lei e ho capito che quello era l’unico modo per raccontare la mia vita, volevo che il privato diventasse politico.
E il successo berlinese come l’hai vissuto?L. R.: Da una parte c’è stata l’ebbrezza, la soddisfazione, ma dall’altra è stata un’esperienza frastornante. Essendo giornalista, di solito sono io che faccio le domande e a Berlino è successo il contrario. Ma è stato anche molto educativo da questo lato.
Nel film vi mettete in gioco come coppia, come ha influito nel vostro privato?
Questa esperienza ci ha rafforzato, per realizzare il film ci abbiamo messo nove mesi, è stato un po’ come fare un figlio!
State insieme da più di otto anni, quali consigli ti senti di dare per far sì che una coppia duri?
L. R.: È un lavoro a cui dedicarti ogni giorno, non bisogna dare nulla per scontato. Credo che il problema di molte coppie etero stia nel fatto che nel momento in cui si sposano danno tutto per scontato. Noi dobbiamo vigilare costantemente, resistere alle duemila tentazioni che ci sono nell’ambiente gay.
Le elezioni politiche sono di nuovo alle porte e la situazione per i gay non è certo migliorata.
G. H.: Durante questo tour porteremo la videocamera, sarà interessante uscire da Roma e vedere la reazione della gente nelle varie parti d’Italia. C’è un grande vuoto politico riempito dalla Chiesa. Ma onestamente ho difficoltà a trovare un partito o a dare il mio voto. Chi aveva parlato di laicità come Boselli ha proposto a Mastella di entrare nel suo partito. Anche il partito democratico ha posto un grande velo sull’argomento gay. Ci sono comunque politici quali la Pollastrini, molto più sensibili. Resta la Sinistra Arcobaleno ma anche lì non mi sembra che stiano facendo una battaglia chiara per le coppie di fatto.
L. R.: Noi cerchiamo di non farci strumentalizzare, abbiamo una coscienza politica ma non saremmo capaci di fare politica. Siamo stati contattati da una lista ma abbiamo rifiutato. Il nostro film è un po’ una bomba ad orologeria, non ne esce bene nessuno. È stato una sorta di vaso di Pandora che ha tirato fuori tutto il marcio, il movimento di antipolitica che già conoscevamo. Auspico che capiti qualcosa di catartico, non più anziani politici babbioni ma giovani. L’astensionismo, però, è triste. Come cittadino devi sempre essere vigile.
E l’idea di fare un seguito del documentario?
L. R.: Fare un seguito non mi piace, ci sembra una forzatura. Faremo comunque un videodiario da mettere sul blog. Fare a tavolino un film perché ti dicono di farlo mi fa un po’ paura.
Che circuitazione avrà ‘Improvvisamente l’inverno scorso’ all’interno dei festival anche internazionali?
L. R.: Non saremo al Festival Gay di Torino ma lo presenteremo il 7 aprile presso l’associazione Documè. All’estero andremo a Toronto, Varsavia, Göteborg e altrove. Pensavamo di fare un festival gay e uno non gay, alternati
G. H.: Pensa che gli organizzatori del festival di Giacarta, nella musulmana Indonesia, ci hanno anticipato che i documentari sono un genere difficile per il loro pubblico. Abbiamo proposto di cucinare la pasta per tutti gli spettatori alla fine della proiezione!
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