Omosessuali di prima penna

Le opere prime di giovani scrittori gay e lesbiche: romanzi spesso acerbi e ingenui ma che in alcuni casi raccontano cosa siamo e cosa sogniamo

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Si dice "letteratura gay" e si pensa ad autori famosi, a best seller che hanno segnato l’immaginario di molti lettori omosessuali. C’è chi cita il giorno in cui ha cominciato a leggere La lingua perduta delle gru di David Leavitt o il ragazzo che conserva nella memoria la copertina colorata di Generations of love di Matteo B. Bianchi. In realtà, alla redazione di un media gay giungono soprattutto segnalazioni di opere di giovani autori omosessuali sconosciuti che si cimentano per la prima volta con la scrittura. Sono libri che quasi mai otterranno l’attenzione di un grande pubblico, anche perché – diciamolo – si tratta in genere di opere mediocri (quando va bene) dal punto di vista letterario. È però interessante cercare di investigare i tratti comuni di alcuni di questi romanzi, alla caccia di una sottintesa comunanza che muoverebbe giovani omosessuali di diversa provenienza verso la realizzazione della passione letteraria.

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Prima domanda: cosa spinge tanti giovani gay verso la scrittura? La prima risposta che viene in mente dopo aver letto alcune "opere prime" è la necessità impellente di consegnare alla pagina scritta il proprio vissuto, evidentemente percepito ancora oggi come particolarmente pesante o almeno come insolito e quindi – si suppone – degno di essere raccontato. È il caso del primo romanzo di Federica Tuzi, sito della casa editrice). Questo lungo e avventuroso on the road tra le due sponde degli USA segue la formazione di una giovane lesbica italiana (ma nata negli States) che fugge da una storia con una minorenne e dalla tentazione di cambiare sesso. Le avventure della protagonista, appassionata di beat generation e tentata da incontri davvero inusuali, sono tantissime: condividerà l’appartamento con una ragazza che si innamorerà di lei, cercherà di guadagnarsi da vivere accudendo due bimbi crudeli come solo i bimbi sanno essere, si avventurerà nel deserto dove conoscerà la cultura del peyote e scapperà da lì insieme alla figlia – minorenne – di coloro che l’hanno ospitata.

Il tutto per un finale di ricongiungimento che lascia con il dubbio che tutto questo girovagare sia in fondo servito solo a rafforzare l’attenzione della protagonista per se stessa, unica persona a cui è realmente interessata.

Federica Tuzi è nota a molti per la sua trasmissione su Fox Cult Santiago: anche le lesbiche sono pellegrine e al racconto Ladyboy uscito nell’antologia lesbica Mondadori Pricipesse azzurre da guardare; è quindi una donna capace di usare la scrittura, come dimostra anche in questo libro traboccante leggerezza e dissacrazione. Tuttavia in 320 pagine le lungaggini sono tante e sembra che non abbiano altro ruolo che quello di consegnare al lettore il bagaglio autobiografico di chi scrive, come se questo da solo giustificasse l’atto letterario.

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Questa ingenuità di fondo è uno dei tratti comuni a molte opere prime, forse non solo di contenuto gay. Accade ad esempio anche per Non posso stare altrove, breve favola che segna l’esordio letterario del giornalista centese Marco Cevolani: il libro, pubblicato da Il Rovescio editore (118 pagine, 8 euro) racconta la sfortunata storia d’amore tra il più grande calciatore del mondo Samuel Bertelli e il suo Riccardo, conosciuto tirando calci alla palla all’oratorio e diventato poi l’unica ragione di vita del campione che, per stare accanto al compagno in un momento di difficoltà, sarà pronto ad abbandonare la sua carriera. Tralasciando gli errori grammaticali e i numerosi refusi tipografici (sembra che alle opere prime si riservi un’attenzione minore da parte dei correttori di bozze…) il libro manca l’obiettivo di indagare un campo scottante come quello dell’omosessualità tra calciatori professionisti, rifugiandosi in un racconto pieno di avvenimenti inverosimili e in cui i personaggi e i loro sentimenti sono presentati con codici da cartolina e senza alcun approfondimento.

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La superficialità è solo apparente, invece, nelle Confessioni di un ragazzo perbene di Marino Buzzi, già noto ai lettori di Gay.it per aver scritto alcuni articoli apparsi su questo sito. Questa è un’opera prima che prova a fare uno sforzo in più e, oltre a ripercorrere alcuni vissuti autobiografici dell’autore, cerca anche di restituire l’immagine di una piccola comunità gay legata da affetti e contrasti, desideri e incomprensioni. Con una sorta di agghiacciante umorismo, il libro racconta le vicende di Michele dal giorno in cui riceve la notizia che il suo amico Francesco, dopo numerosi tentativi falliti, si è suicidato e che toccherà a lui organizzare il funerale. Come se non bastasse, contestualmente il nostro protagonista viene licenziato e va quindi a ingrassare le fila dei mille giovani precari plurilaureati i cui curricula affollano le agenzie di lavoro interinale.

 

Attorno a Michele, che – come Buzzi – abita a Bologna ma proviene da un paesino di provincia, troviamo la famiglia bolognese composta dai suoi amici gay che affrontano il dolore della perdita di Francesco tuffandosi nella dark, e la famiglia di origine, con mamma rompiscatole che si lamenta di tutto, padre incapace di comunicare il proprio affetto e una nipotina che gode nel mettere in difficoltà lo zietto spingendolo a confessare la sua omosessualità. La leggerezza con cui il tutto viene raccontato rende la lettura godibile e riesce a contestualizzare certe frivolezze del mondo gay rivelandone lati alquanto discutibili, ma scade in dialoghi troppo deboli e televisivi e in qualche lungaggine di troppo. Il libro (216 pagine, 12 euro) è stato pubblicato da Luciana Tufani, casa editrice già segnalata per una particolare attenzione al mondo gay e soprattutto alla letteratura femminile.

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A parte il caso del romanzo di Marino Buzzi e di pochi altri, molte opere prime gay percorrono il canale dell’immaginazione se non della favola, traducendo in storie poco radicate nel reale (persino quando sono autobiografiche!) la disillusione e il distacco che evidentemente colpisce molti e molte omosessuali nel percorso verso l’accettazione di se stessi. Vanno in questa direzione due romanzi che, pur non essendo un’opera prima, conservano tutti i tratti di ingenuità tipici di chi si avventura per la prima volta nella scrittura presentando una fuga nella fantasia. Il seme della speranza (Diamone editrice, 208 pagine, 10 euro) è il primo tentativo nel genere fantasy di Emiliano Reali, già autore di Ordinary (Serarcangeli) e di Se Bambi fosse trans? (Azimut), che qi costruisce una tipica favola sulla salvezza del mondo da affidare a un “eletto”. Il predestinato è un folletto che dovrà assumere sembianze umane per distogliere gli abitanti della Terra dall’autodistruzione, lasciando nel Mondo delle Fate il proprio compagno folletto distrutto dall’abbandono.

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Sempre nel genere fantasy si cimenta anche Gabriele Sannino, uno dei pochi militari gay visibili e autore nel 2006 di Non sono un alieno (WLM Edizioni) e nel 2009 di Viaggio verso me: in questo recente L’amico extraterrestre (Prospettiva editrice, 115 pagine, 12 euro) Sannino mette in luce, attraverso la tenera amicizia tra un orfano terrestre e un bimbo alieno, il concetto di diversità senza relegarla alla sola omosessualità. Entrambi questi scritti però dicono poco del mondo gay e faticano a trovare una collocazione negli scaffali di letteratura omosessuale.

In generale, l’invenzione di storie fantastiche non sembra giovare alla qualità delle opere: si sente il bisogno di un racconto che graffi, capace di scorticare la realtà e portarne alla luce la vera essenza. Ma, indipendentemente dal genere di scrittura scelto, questo è certo un compito non facile anche per gli scrittori di maggiore esperienza. A questi giovani autori va il merito di rappresentare l’immaginario del “gay della porta accanto”; sono scrittori che se anche non dovessero entrare mai nell’Olimpo della letteratura omosessuale, permettono a tanti gay e lesbiche di riconoscersi almeno in parte nella loro scrittura.

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