Sul valore positivo della tecnologia e delle scoperte a essa connesse, siamo tutti d’accordo: se non avessimo scoperto il fuoco saremmo costretti a mangiare sushi tutto il tempo e se non avessimo inventato il senso del pudore probabilmente Minzolini condurrebbe anche i TG Mediaset. Ma è anche vero che i progressi si accompagnano spesso a scompensi dell’assetto socio-economico non indifferenti.
Penso infatti a cosa ha causato ad esempio l’avvento della fotografia digitale rispetto a quella su pellicola. Migliaia di negozi di fotografi hanno chiuso perché quasi più nessuno fa stampare le foto e gli amanti delle pose osè che finalmente possono godersi gli scatti eseguiti senza imbarazzanti travestimenti in stile pantera rosa altrimenti necessari ai tempi per andare a ritirare gli scatti in baby doll, con un guinzaglio al collo tenuto dalla moglie vestita da puffetta. Penso anche a quanti lavoravano nelle videoteche: le tv digitali prima e i pirati che scaricano tutto dalla rete dopo ne hanno causato la quasi totale estinzione.
Ma soprattutto, la categoria che più mi rammarica essere stata falcidiata dalle recenti scoperte in campo medico è quella dei fluffer: stimati professionisti nel campo cinematografico, sostanzialmente impiegati nelle produzioni di film pornografici e prosaicamente descrivibili come "arrizzacazzi". A quanto leggevo qualche giorno fa, questa professione è ormai quasi del tutto scomparsa a causa dell’avvento del Viagra. La loro funzione era quella di tenere alta durante le riprese la vis dei protagonisti con vigorose applicazioni labiali, mentre ora basta una di quelle pasticche blu per innalzare il rigore recitativo anche per pellicole della lunghezza di Ben Hur.
E così: bye, bye, fluffer!
La prima volta che sentii parlare di questo lavoro ne rimasi subito affascinato. Fu una decina di anni fa quando venne presentato alla mostra di Berlino un film omonimo nel quale si raccontava l’attrazione ossessiva di un ragazzo per un attore porno al punto tale da farsi assumere nella sua casa di produzione e che, pur di potergli stare accanto, accetta di essere impiegato appunto in qualità di fluffer. Il racconto poi si dipana attraverso varie tragedie esistenziali, l’eterna questione dell’amore non corrisposto e l’inevitabile epilogo tragico ma quello che più mi aveva colpito era appunto la figura del fluffer. Un lavoro che mi sembrava perfetto: avevi il massimo con il minimo.
Non solo infatti ti dava la possibilità di avere a che fare (e qui è necessario metterne almeno quattro di virgolette) con degli attori (anche qui, stesso numero di virgolette) bellissimi e dal talento oggettivamente misurabile in centimetri mai inferiori a 20, ma ti dava l’indubbio vantaggio dell’anonimato garantito. Apparire infatti in un film porno non è esattamente quel tipo di aspirazione che un ragazzino delle elementari descriverebbe nel tema "cosa voglio fare da grande", soprattutto perché a causa del fenomeno internettiano, nel giro di poco tempo tutto il mondo finirebbe per vederti legato su una sling di pelle nera mentre un quartetto di nerboruti tatuati si azzuffano tra di loro per decidere chi per primo deve sondare le tue intime profondità.
Fare il fluffer sarebbe stato ancora oggi un lavoro perfetto ad esempio per tutti quei ragazzi che volevano trovarsi un impiego durante il periodo universitario, tanto più che nei lunghi cambi di scena, tra un’orgia e un menage a trois, si aveva tranquillamente il tempo di preparare gli esami.
Leggende metropolitane raccontano che durante i provini venissero stesi su un tavolo carote, banane e noci di cocco e quello che a prima vista poteva sembrare il banchetto del catering in realtà altro non era che una prova attitudinale delle capacità orali dei candidati che avrebbe poi portato all’assunzione diretta per la quale non si richiedeva neppure un aspetto particolarmente attraente quanto la naturale assenza dell’istinto del vomito. Il contratto poi garantiva la preziosissima copertura medica non tanto per le eventuali malattie veneree quanto per quegli infortuni cronici alle mascelle e alle giunture delle ginocchia che, come ci dimostra anche il gomito del tennista, è conseguenza di molte professioni altamente usuranti.
Insomma, io mi rendo conto di quanto ‘sto benedetto Viagra sia diventato una mano santa per togliere dall’imbarazzo incontrollabili cedimenti erettili, soprattutto per arzilli vecchietti ancora ben lungi dal raggiungimento della pace dei sensi, ma dovrebbe esserne vietato e penalizzato l’utilizzo da parte degli aitanti professionisti del porno con sanzioni pari a quelle per doping nell’atletica. Non tanto per motivi etici quanto perché, a causa loro, un’altra maestranza dell’industria del cinema, una professione artigianale che mi azzarderei a definire "artistica" è scomparsa causando così l’ingrossarsi delle già vasta schiera dei senza lavoro.
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti
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