“Queer Lion”, i retroscena della vittoria… di misura

Il giurato Massimo Benvegnù ci rivela i retroscena per l'assegnazione del "Queer Lion": "Un altro pianeta" ha battuto di misura "Il primo giorno d'inverno" di Locatelli. Cinque i film papabili.

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«Il Queer Lion non è stato un premio all’unanimità» ci rivela il giurato Massimo Benvegnù (in foto) in partenza per Amsterdam. «Ma ovviamente non posso rivelarti chi non l’ha votato. Comunque quest’anno, rispetto alla carenza di titoli a tematica lgbt della scorsa edizione, è andata molto bene perché avevamo una qualche scelta. C’erano cinque film a tematica piena: Un altro pianeta, Khastegi, Jay, Il primo giorno d’inverno e A country teacher, tralasciato quasi da subito perché non ci piacevano molto né l’intreccio triangolare né gli attori. Gli italiani sono arrivati in finale: abbiamo dibattuto tra il film di Tummolini, molto semplice, solare e diretto e quello di Locatelli, molto più rigoroso anche dal punto di vista formale e stilistico. Due film molto affascinanti: aprivano una finestra su mondi altri, come il filippino Jay e l’iraniano Khastegi ma riguardo a quest’ultimo avevamo un dubbio perché a Berlino era già stato premiato un film con la stessa tematica e non volevamo allinearci troppo al Teddy. Poi è arrivato il segnale forte di Brass: voleva un film che esprimesse in modo solare e arioso il sesso. In Locatelli chi pecca viene condannato mentre in Tummolini il sesso serve anche a scacciare i dolori, a pensare ad altro: un sesso taumaturgico. Ci è passato per la testa anche di dare una menzione speciale al documentario su Valentino (Valentino The Last Emperor di Matt Tyrnauer, ndr), una grande storia d’amore gay, e persino una segnalazione alla sigla iniziale di Olmi che abbiamo trovato un po’ omoerotica; poi non ce ne siamo più ricordati».

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Il film vincitore, Un altro pianeta di Stefano Tummolini è piaciuto molto sia al pubblico – sette minuti di applausi in proiezione ufficiale con battimano ripetuto durante il film quando il protagonista, creduto poliziotto, rivela la sua vera professione – che alla critica, con accostamenti a Rohmer (Maurizio Porro del Corriere lo definisce "una bella

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sorpresa, un divertente racconto di sabbia e affetti"). A ritirare la targa, consegnata dall’onorevole Paola Concia, sono stati il cosceneggiatore e attore protagonista Antonio Merone e l’attrice Chiara Francini. «Sono particolarmente riconoscente per il premio» ha spiegato Merone, «perché in fase di scrittura della sceneggiatura temevo che alcuni aspetti del film venissero fraintesi, in particolare quello a cui più tenevamo: far passare il messaggio che il sesso, e la sessualità in genere, siano una delle molteplici forme che due persone, etero o gay, uomini o donne, hanno per comunicare e trasmettere all’altro, non solo puro e ‘semplice’ piacere, ma anche emozioni universali, legate ai sentimenti quanto alla carnalità, al presente quanto al passato, senza distinzioni, barriere e steccati».

Il presidente di giuria Tinto Brass, che ha tra l’altro definito la Mostra «a un passo dal Camposanto», ha detto a Gay.it che per lui è stata «un’esperienza molto interessante, i film a tematica omosex vanno visti con un occhio meno distratto, è un peccato che certi argomenti al cinema spesso non possano neanche essere affrontati per colpa di certi burocrati che hanno paura di investire in queste storie».

Incidente diplomatico, infine, per il regista iraniano Barman Motamedian che ha rifiutato il premio laico Brian per il suo Khastegi (Tedium) su sette transessuali iraniani. L’organizzatore del premio, l’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) ha così commentato: «È la dimostrazione che, quando si deve agire in un ambito fortemente intriso di religione, il rispetto e il dialogo possono venire meno, anche da parte di chi ha saputo esprimere questa sensibilità sul grande schermo».

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Ammaccata, senescente, intristita: l’ultima Mostra di Venezia assomiglia al protagonista del film vincitore a sorpresa, The Wrestler di Darren Aronofsky, quel lottatore sul viale del tramonto, pesto e sconsolato, interpretato (pare mimeticamente) da un Mickey Rourke ormai irriconoscibile dai tempi di Nove settimane e mezzo e Francesco per infiniti mutamenti chirurgici maxillo-facciali e una svogliata trasandatezza da loser maledetto con inseparabile chihuahua femmina diciassettenne, Loki. Talmente loser che uno dei premi che sembravano sicuri, la Coppa Volpi come miglior attore, Rourke se l’è vista soffiare sotto il naso dal nostro amatissimo Silvio Orlando per Il papà di Giovanna di Avati, poiché una clausola del regolamento impedisce più premi importanti allo stesso film.

Il resto dei riconoscimenti ha sostanzialmente rispettato le previsioni: il favorito Teza (Rugiada) dell’etiope Haile Gerima si è dovuto accontentare del Premio Speciale della Giuria e dell’Osella per la migliore sceneggiatura mentre il russo Paper Soldier di Aleksei German Jr. si è aggiudicato il Leone d’Argento per la migliore regia e l’Osella per la fotografia. La scena in cui si sfracella il cranio a martellate deve avere impressionato non poco la giuria che ha decretato Dominique Blanc miglior attrice nel dramma sulla gelosia ‘L’autre’ diretto dagli autori del queer Dancing, ossia Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic. Un premio speciale per l’insieme dell’opera va all’eccentrico sperimentatore gay Werner Schroeter, storico collaboratore di Rosa Von Praunheim, che al Lido ha presentato il beffeggiato Nuit de chien. Purtroppo Schroeter ha gravi problemi di salute: è affetto da un tumore pare particolarmente aggressivo.

Riguardo al cinema italiano, noi avevamo particolari speranze nel nuovo Corsicato Il seme della discordia, un’operina pop, smaltata e plastica, visivamente anche intrigante ma non particolarmente divertente (gli unici accenni filogay sono una scena di nudo maschile sotto le docce e il figlio di Monique/Isabella Ferrari creduto omosessuale dalla madre perché esce solamente col suo migliore amico). Anche il nuovo Ozpetek, il discreto Un giorno perfetto, ha qualche problema nella definizione dei personaggi secondari, un po’ televisivi, e nel ritmo narrativo.

La nostra produzione nazionale si è però rifatta nei premi collaterali: l’unico vero caso della Mostra, il delicato Pranzo di Ferragosto firmato da Gianni di Gregorio e interpretato da quattro scatenate vecchiette tra gli ottanta e i novant’anni, si è aggiudicato il premio "Luigi De Laurentiis" per la migliore opera prima.

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