Vi è mai capitato di essere al ristorante con un amico che si lamenta perché non riesce a trovare l’uomo della sua vita, nonostante frenetiche (e spesso non spiacevoli) ricerche? È quello che è successo al regista Michael Gallant: era al ristorante con un suo amico attore, Jason Stuart, che continuava a parlare di come fosse difficile trovare l’amore per un uomo gay sui trent’anni, nella California del terzo millennio. È stato lì che Michael ha avuto l’idea di trasformare questa difficoltà, questa infinita ricerca, in un film: "10 attitudes".
Josh (Jason Stuart), un uomo più o meno attraente, sui trent’anni, si è trasferito da dieci anni in California con il suo compagno Lyle. Ha un buon lavoro, un compagno che ama, insomma tutto quello che un uomo può desiderare, sebbene la vita di Los Angeles non faccia proprio per lui. Tutto cambia quando un giorno Josh trova il suo compagno tra le braccia di un altro e decide di tornare nell’Ohio. Ma quella notte il suo amico Brandon, sull’onda di qualche Martini, lo convince a restare. Fanno una scommessa: Josh troverà l’amore della sua vita in 10 appuntamenti. La ricerca però è tutt’altro che facile: Josh vuole qualcuno che sia leale, sexy, con un buon lavoro, e dichiarato alla propria famiglia.
Così Josh rientra nel mondo degli appuntamenti, da cui era rimasto fuori per tanto tempo, e scopre così tante diverse "attitudini", che a un certo punto dice: "Guarda, sono solo un normale ragazzo gay". Tra appuntamenti disastrosi e altri decisamente più piacevoli, Josh riuscirà alla fine a venire a patti con le proprie esigenze e ad aspettare fiducioso un futuro migliore.
A parte la trama, decisamente divertente e sincera, 10 attitudes ha una grossa particolarità nel modo in cui è girato: è infatti una sorta di commedia-documentario. Ricordate il Woody Allen di Mariti e mogli con la camera continuamente in movimento, mai appoggiata a un cavalletto? Questo accade anche in 10 attitudes, proprio come omaggio al grande regista americano.
D’altronde il film presenta 10 omaggi, espliciti o sottili, ad altrettanti registi, da Allen appunto fino a Claude Lelouch. In più, la scelta della camera digitale a mano è stata piuttosto obbligata: la lavorazione del film è partita con pochi mezzi e solo successivamente si sono fatti avanti alcuni investitori.
Al carattere di documentario della pellicola ha contribuito anche una certa volontà di improvvisazione: spesso i dialoghi non erano preparati, ma inventati sul momento dagli attori. Il risultato è una pellicola che mescola comico e drammatico, realtà e finzione, il tutto inframmezzato da osservazioni della vera mamma di Josh/Jason (secondo uno schema già usato in Harry ti presento Sally).
Quasi del tutto sconosciuti al pubblico italiano gli attori che recitano nella pellicola: l’unica faccia nota è Alexandra Paul (la sorella di Josh che deve barcamenarsi tra il fratello gay e il marito omofobo), che è stata un delle più famose bagnine di Baywatch. L’attore protagonista, che interpreta una storia in parte auto-biografica, è una scelta perfetta per la sua capacità di rappresentare il "normale ragazzo gay": un uomo comune, con un lavoro regolare, che qualcuno trova attraente e qualcun altro no. Un uomo che potrebbe essere il nostro vicino, il nostro migliore amico, e – perché no – noi stessi. L’uso della sua vera madre nel film accentua il carattere autobiografico e nel contempo universale della pellicola: "Alla fine della giornata, abbiamo tutti lo stesso bisogno umano di base – amare e trovare qualcuno che ci ami a sua volta".
Presentato il 10 luglio al Philadelphia International Gay and Lesbian Film Festival, il film è atteso adesso all’Austin Gay and Lesbian International Film Festival, nella speranza che trovi una distribuzione italiana al più presto.
di Antonio Zagari
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