Ha vinto il film più bello, più significativo, più vitale: il premio Mario Ottavio Mai è andato a La Belle Saison di Catherine Corsini, il femminismo nel suo nascere nei turbolenti anni ’70 visto dalla doppia ottica pubblica e privata, l’entusiasmo politico e il romanticismo di due donne innamorate immerso in un paradisiaco ambiente bucolico.
In un concorso che ha visto solo due titoli lesbici su nove, come ha fatto notare la giurata Paola Turci, è una vera vittoria delle donne, forse troppo poco rappresentate a questo festival, eppure capaci di raccontarsi meglio dei maschi (si è potuta riscoprire l’eclettica artista ‘totale’ Lina Mangiacapre fondatrice del collettivo Le Nemesiache).
La motivazione parla di «un film profondo e autentico, che usa come strumento una recitazione che va al di là delle parole. Un inno a inseguire la nostra felicità nonostante gli ostacoli che a volte la vita ci pone davanti, prendendo in esame un periodo storico fondamentale per l’emancipazione femminile come gli anni ’70 e le problematiche che ancora oggi ci troviamo ad affrontare, raccontando finalmente l’amore tra due donne in modo libero. Che sia fonte d’ispirazione per la nostra mente e soprattutto per la nostra classe politica». Una menzione speciale, a nostro avviso più per l’importanza storica che per la qualità artistica, è stata assegnata all’australiano Holding The Man di Neil Armfield perché «ricorda la storia della comunità gay e mostra un ritratto doloroso di questioni relative all’AIDS, nella fattispecie a partire dagli anni ’80-’90 fino ai giorni nostri. Stile, fotografia e interpretazione brillante si fondono in un’immagine onesta e intrisa di sentimenti, dipingendo la famiglia, spesso nemica dei suoi figli queer, come una possibile fonte di sostegno sincero e amorevole».
Il pubblico ha scelto (giustamente) il passionale Viva, in cui l’universo drag diventa davvero veicolo di emozioni autentiche. Cliccando qui trovate tutti i premi assegnati.
La disinvolta cerimonia di premiazione ha visto la partecipazione di Rachele Bastreghi, seducente voce dei Baustelle e autrice del brano Ci rivedremo poi contenuto nell’album Eccomi di Patty Pravo. Per la chiusura del festival è stata scelta la gioviale commedia taiwanese/americana Baby Steps di Barney Cheng, favolistica riflessione sulle difficoltà, pratiche e culturali, per ottenere la maternità surrogata da parte di una coppia gay formata da un cinese e un americano.
La vera protagonista è però la madre del primo, interpretata dalla veterana Gua Aleh, che mal accetta la relazione gay del figlio e si vergogna che si sappia in giro: ma riconsidererà la sua idea di famiglia grazie alla caparbietà della coppia di diventare papà. Sembrerebbe quasi il seguito di Banchetto di nozze (non a caso finanzia Li Kong Hsu, storico produttore di Ang Lee), raccontato con garbo in salsa di soya, con qualche spunto di riflessione sulle differenze culturali fra Oriente e Occidente – è l’idea stessa di femminilità consapevole che la madre rielabora avvicinandosi alla mentalità pragmatica della coppia – e una certa scorrevolezza narrativa irrorata da un registro ironico.
Un’edizione, la trentunesima del Togay, in cui non è emerso uno sguardo nuovo nel rappresentare il mondo queer contemporaneo ed è il cosiddetto cinema della realtà – Chemsex, Oriented, Kiki – a fornire le prove più interessanti, come se l’urgenza di testimoniare il presente fosse più pregnante della sua rappresentazione attraverso la fiction. È un peccato, però, che i documentari non abbiano più un loro concorso dedicato.
È poi il monitoraggio giornalistico della situazione internazionale – bello in particolare il focus sulla Tunisia – a far luce sui veri problemi della comunità lgbt, in primis la legislazione antigay e l’omofobia.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.