Alessandro Calza, bufala o rivelazione?

L'attore genovese del minimalista "Ciao" ha diviso i nostri lettori: è nata una stella o si tenta di lanciare una specie di tronista? Delude "The Lost Coast" sulle manfrine di tre amici californiani.

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Era da tempo immemore che il nostro forum non si infiammava così: su Alessandro Calza, web designer e attore 37enne genovese, protagonista di un film davvero "minimal" presentato al Venice Market, l’intimista Ciao del malese Yen Tan, i nostri lettori hanno scritto davvero di tutto. C’è chi gli dà dell’arrivista e del tronista protegé (irritato anche dall’appellativo di icona gay affibbiatogli da Gay.tv), chi al contrario lo trova "buono come il pane" e "pensa di amarlo". Insomma, nel bene e nel male Alessandro Calza non lascia indifferenti.

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E dopo aver visto Ciao, presentato ieri in sala Zorzi, capiamo meglio il perché: effettivamente la stoffa del personaggio ce l’ha (tranquilli: qui nessuno lo conosce personalmente e ha intenzione di lanciarlo "a tavolino"). Infatti in Ciao funziona egregiamente. Come attore è bravino, ha un volto sorprendentemente cinegenico e il suo americano fluente potrebbe davvero aiutarlo in una carriera internazionale.

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Ciao è un piccolo film essenzialmente di regia: lunghi piani fissi, altrettanto lunghi dialoghi in campo/controcampo, silenzi dilatati, atmosfere sospese. Semplice, semplicissimo ai confini dell’inconsistenza (il sospetto resta, ma soppesiamone anche le qualità): Jeff, americano di Dallas, invita a casa sua l’italiano Andrea che aveva pianificato un viaggio a casa del suo ex compagno Mark, nel frattempo defunto in un incidente stradale. Superata la diffidenza iniziale, i due parlano molto, fanno visita alla tomba di Mark, frequentano un locale dove ballano coppie di cowboy gay. Il regista è abbastanza abile nel creare una certa tensione erotica tra i protagonisti, capace di esplodere nella scena più bella, un lungo bacio nel letto la notte prima della partenza di Andrea. Yen Tan tende ad asciugare, ridurre, lasciare l’essenziale, anche per mantenere una certa distanza da una materia a forte impatto emotivo e a rischio di patetismo sentimentale. Ma qualche iniezione narrativa, ad essere onesti, avrebbe indubbiamente reso il tutto un po’ meno piatto e monocorde. Alessandro Calza, si diceva: sì, il fulcro del film è proprio lui – attenzione alla telefonata con spiccato accento genovese fatta alla madre: forse è meglio farlo parlare in americano! – e continuiamo a pensare che abbia un’aura maledettamente sexy e un talento certamente acerbo ma riconoscibile. Lo attendiamo all’opera seconda per avere conferme (sperando che ci sarà l’occasione). Un nostro lettore, fabio-sv, con rustica immediatezza ci scrive: "questo Calza non sarà Al Pacino, ma fa troppo sesso…". È proprio così.

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Delude invece l’irritante The Lost Coast di Gabriel Fleming sulle manfrine reiterate di tre amici californiani che si ritrovano la notte di Halloween e vagano per il quartiere gay di Castro più o meno travestiti – il protagonista Mark (Lucas Alifano) è conciato da maniaco sessuale con tanto di impermeabile e lungo dildo nelle mutande, l’amica Lily (Lindsay Benner) da fantasmina in stile The Ring con volto di biacca e maschera sulla nuca – tra party in strada e privati, alla ricerca di uno spacciatore di ecstasy all’apparenza irreperibile. Il timido Jasper (Ian Scott McGregor) sta per sposarsi, non si è mascherato ed è a disagio con Mark perché in passato hanno avuto una storia non facile sbocciata in una gita a Lost Coast, boscosa località nel nord della California. Durante la serata i ragazzi rievocano quel viaggio che ha cambiato per sempre le loro vite mentre la voce fuori campo è sostituita dalle email che Jasper scrive alla sua fidanzata e in cui spiega i fatti del passato. L’intento di infondere mistero e poeticità si infrange però in lunghe riprese naturalistiche della selva che mal si amalgamano con la parte urbana del racconto, troppo frammentaria e ripetitiva (imbarazzante la scena del rapporto orale ‘attizzato’ dalla visione del membro finto di Mark). Alcuni passaggi che vorrebbero d’autore sono invece solo ingenuità: il raccordo elicottero/uccello, la contemplazione ossessiva delle scogliere brumose, l’eccessiva camera a mano nelle scene notturne. Non male, invece, l’ipnotica colonna sonora firmata da Nathan Matthew David.

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