L’estetica glam? Tutta da reinventare. Niente più pubblicità, è ora di puro cinema. Ci pensa Tom Ford, confermato ‘vero’ regista (e persino bravo) con un bel thriller insinuante e triste sul senso della vendetta, Animali Notturni, tratto da un altrettanto riuscito romanzo di Austin Wright, Tony & Susan (Adelphi), da cui si prende più di una libertà, vincente.
Se il precedente A Single Man era una sinfonia cool di armonie estetizzanti e impeccabili, qui il confronto/contrasto – netto ed efficace – è tra l’elegante patina glamour della Los Angeles high class dell’arte contemporanea, sberluccicante ma a suo modo funerea (spiazzante e bellissimo l’attacco con le modelle oversize di burlesque completamente nude), e le accecanti solarità del deserto texano, fra brutalità bestiali e insetti onnipresenti: Animali Notturni sono infatti due film in uno (anzi tre, se consideriamo i flashback della vita sentimentale della protagonista), poiché la gallerista Susan – una bravissima Amy Adams, davvero vibrante nella sua malinconia pervasiva: che sia ora dell’Oscar dopo cinque nominations in dieci anni? – riceve un manoscritto dedicato proprio a lei dall’ex marito che non sente da vent’anni. Si tratta di un romanzo cupo e violento su una famiglia composta da padre – che Susan immagina con le fattezze dell’ex marito Edward (un dolente Jake Gyllenhall) – madre e figlia adolescente (Isla Fisher e Ellie Bamber), aggredita da tre balordi durante un viaggio in macchina attraverso il Texas. Mentre Susan passa le sue notti insonne a leggere il romanzo che la turba e conquista, riflette sulla sua vita sentimentale disastrata: il fascinoso marito Hutton (Armie Hammer) la tradisce durante le sue frequenti trasferte di lavoro e lei si sente in colpa nei confronti dell’ex marito a cui ha fatto un torto innominabile.
Il grande lavoro di montaggio di Joan Sobel – la stessa di A Single Man – garantisce una tenuta di tensione notevole che interseca bene la parte più hitchcockiana di puro thriller e quella melò-esistenzialista sul rapporto con l’ex marito considerato troppo ‘debole’ dalla perfida madre repubblicana (una magnifica Laura Linney in un cameo istantaneo ma assai significativo: da antologia il suo “alla fine diventiamo tutti le nostre madri”).
Tom Ford asciuga il romanzo fiume eliminando alcuni personaggi tra cui una studentessa che s’innamora del professore vedovo – e fa bene, visto che reggeva già poco sulla pagina – iniettando la narrazione di elementi queer originali: il fratello gay di Susan, detestato dai genitori, che però non si vede mai; la collega con marito omosessuale, garanzia dell’impossibilità del ‘calo di desiderio’, un appassionato d’arte femmineo interpretato da Michael Sheen; vari nudi maschili, tra cui Jake Gyllenhaal più volte sotto la doccia e Aaron Taylor Jackson ‘nature’ su un water a cielo aperto. Ed è proprio la scelta di belli e tenebrosi quali proprio quell’adone di Taylor Jackson e Karl Glusman (Love) in ruoli di criminali spietati e sanguinari a creare un effetto di dissonanza perverso che sullo schermo funziona. Ma il più bravo di tutti – impossibile non dargli almeno la nomination all’Oscar – è Michael Shannon nei panni dello sceriffo moribondo per un cancro ai polmoni e nulla da perdere: sguardo basso, espressivo in ogni ruga, un desiderio di vendetta che vibra quanto il suo revolver.
Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia: un ottimo viatico per gli Oscar.
Da vedere (e rivedere).
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.