Erotismo gay audace, passionalità esplicita, hard fiammeggiante: i cortometraggi di Antonio Da Silva, regista portoghese trasferitosi a Londra, indagano le pulsioni omosex senza falsi pudori, e fanno discutere. All’ultimo Fish & Chips Erotic International Film Festival di Torino è stato applaudito il suo ultimo lavoro, Spunk (Sborra), un ambizioso video-collage di chat gay ultra tecnologiche dove si possono cambiare fondali e indossare maschere digitali: il ‘virtual sex’ online diventa così palestra di creatività visiva senza alcun limite.
L’abbiamo intervistato a Los Angeles dove è arrivato dopo un viaggio in Messico per lavoro.
Dove hai trovato l’ispirazione per Spunk, un rimarchevole cortometraggio sulle nuove chat gay ipertecnologiche?
L’ispirazione arriva da tutte le comunicazioni digitali online che usiamo oggi e stanno già cambiando il modo in cui interagiamo reciprocamente. È anche un modo per mettere insieme varie persone che sono in contatto virtuale con me, sono molto lontani e volevano essere coinvolti nel mio progetto.
Ma gli effetti visivi della chat tecnologiche sono stati aggiunti in postproduzione oppure no?
Siamo stati ispirati da quelle reali ma abbiamo anche reinventato nuove interfacce e schermate, è stato un lavoro di gruppo.
E l’idea dello sperma sbrilluccicante come è arrivata?
È il tocco magico del digitale! Ci sono filtri per ogni immagine prodotta e postata online. Quel luccichio richiama l’idea dell’artificialità e della magia che il mondo virtuale ha la fortuna di avere.
Nel tuo lavoro emerge una profonda passione per la sensualità maschile…
Più che per la sensualità è proprio per la sessualità. Arriva da un impulso istintuale riguardo al parlare e al contatto in cui ho trovato me stesso. Non è facile trovarlo nelle immagini in video ma più nei libri. Ho deciso di approfondire l’argomento, c’è così tanto da esplorare.
Tendi a porre lo spettatore nella posizione del voyeur o del sognatore…
Sì, specialmente in Spunk.
Nei tuoi film il confine tra arte e pornografia è molto sottile, che ne pensi?
Non ci penso molto durante il processo di creazione, parlare di sessualità e trasformarla in arte attraverso il punto di vista della sperimentazione è un processo molto naturale.
La narrativa dei tuoi cortometraggi è spesso dettata dal montaggio. Quanto è importante per te?
Il montaggio è la chiave del mio lavoro. È sempre più un lavoro di collaborazione: metto insieme i pezzi che mi inviano per creare una narrazione e raccontare una storia.
Parlami dei codici della cultura gay: tendi a ‘categorizzare’ l’argomento con corti dedicati ai rossi, ai daddies, eccetera…
Sono molto attratto dalla sessualità maschile, dalla mascolinità. Allo stesso modo sono attratto da queste persone, quindi viene molto naturale.
Uno dei tuoi progetti più curiosi è il sexy-letterario Penis Poetry in cui si leggono poemi scritti sui corpi nudi… Peter Greenaway e il suo Pillow Book è stato fonte d’ispirazione?
Sì ma Penis Poetry arriva dal mio collaboratore Andreas Martinez che ha prodotto un lavoro analogo ma in fotografia. Ci siamo conosciuti a San Paolo, in Brasile. Quando ho visto il suo lavoro ho deciso di farne una versione cinematografica.
In Dancers è palpabile la tua passione per la danza.
È la mia formazione, ho una specializzazione in coreografia. È una passione, adoro il corpo maschile che si muove. Per me il montaggio è una sorta di coreografia, una danza anch’essa.
Com’è venuta l’idea di Bankers, in cui hai messo una telecamera nascosta nei gabinetti frequentati dagli impiegati della City?
È arrivato per caso. L’ho girato nel Financial District londinese nei veri bagni dove si pratica cruising. In realtà a volte svelavo la presenza della telecamera a qualcuno dicendogli che stavo filmando un altro tizio e come comportarsi se fosse finito nell’inquadratura.
Il più diverso dei tuoi cortometraggi è Julian, molto romantico…
È una storia d’amore. Abbiamo deciso di documentare questo viaggio per il mondo. Ci siamo conosciuti due mesi prima. I miei film parlano soprattutto di sesso e sessualità, non di sentimenti. Al contrario di Julian e Penis Poetry. Uno dei miei obiettivi, nei prossimi film, è il messaggio non solo sulla sessualità ma anche sulle emozioni.
Sei mai stato in Italia? Che pensi del cinema e dei maschi italiani?
Non ho mai avuto la fortuna di andarci ma lo voglio fare. Ho molti amici ‘virtuali’ italiani. Avete una storia cinematografica così ricca che mi sento imbarazzato a fare commenti specifici. È parte del cinema mondiale.
Hai mai avuto problemi con la censura?
All’inizio ero sorpreso dall’apertura della maggior parte della gente. Poi alcuni festival mi dicevano che non potevano proiettare alcuni miei corti per il contenuto esplicito ma evito il confronto diretto in quei casi, è solo una perdita di tempo.
Sei stato recentemente in Messico per lavoro?
Sì, è stato fonte d’ispirazione, voglio tornarci. Sono attratto dalle diverse prospettive della sessualità maschile in base alla cultura, ai luoghi. Mi piacerebbe parlare della cultura messicana macho che è molto forte, dei suoi cliché rappresentati visivamente.
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