È in arrivo sui nostri schermi, più esattamente il 31 agosto, uno dei personaggi gay più negativi visti ultimamente al cinema: trattasi del carcerato omosessuale compagno di cella del protagonista Jin nel prezioso ‘Soffio – Breath’, dramma minimalista del regista cult coreano Kim-Ki Duk che avevamo apprezzato – con alcune riserve – all’ultimo Festival di Cannes.
Negativo non tanto per la sua omosessualità che peraltro non viene giudicata o criticata di per sé, ma per il suo carattere possessivo e geloso, per la cattiveria con cui fa continui dispetti al suo amato che non ricambia assolutamente le dolci attenzioni – anzi, è fortemente infastidito dalle sue continue carezze e premure – visto che è invaghito nuovamente della sua ex Yeon, moglie infelice con l’hobby della scultura tradita ripetutamente dal marito. Lei l’ha ritrovato sapendo dei suoi ripetuti tentativi di suicidio attraverso il telegiornale e, al fine di alleviargli le pene della reclusione, va spesso a trovarlo in carcere. Per distrarlo improvvisa gioiosi numeri musicali con uno stereo portatile e si mette a foderare la stanza dei colloqui con improbabili tappezzerie colorate il cui soggetto sono rasserenanti panorami naturali.
Mentre Jin attende fremente le visite di Yeon, unica boccata d’aria durante le sue tristi e monotone giornate in carcere insieme ad altri tre detenuti, il compagno di cella gay non si rassegna al rifiuto amoroso di Jin: gli strappa di nascosto le foto di lei e arriva a mangiarsele quasi compiaciuto delle crisi di furore dell’amato che sfoga in rabbiosi pestaggi. Così, almeno, riesce ad avere – seppur violentemente – un contatto fisico con lui.
È la prima volta che Kim-Ki Duk tratteggia un personaggio dichiaratamente omosessuale in un suo film – ma vibravano sottopelle attrazioni lesbo anche nel deludente ‘La Samaritana’ – ed è innegabile il lirismo poetico del regista nel rendere sottilmente erotico ma non volgare il controverso legame tra i due uomini (per intenderci, siamo dalle parti di ‘Un chant d’amour’ di Genet piuttosto che verso le morbose atmosfere sadomaso in ‘Fuga di mezzanotte’). Da contestare è invece il ridotto approfondimento psicologico del personaggio, quasi astratto nella sua passionalità incondizionata. C’è però della magia visiva in questo ‘Soffio’, capace di emergere a tratti (vedi l’inquadratura finale quasi ‘pittorica’). Sicuramente si tratta di un film interlocutorio nella carriera dell’apprezzato regista coreano di ‘Ferro 3’ e ‘L’isola’ – è stato girato in due sole settimane con un budgeto molto ridotto – ma, nonostante troppi simbolismi esibiti e una certa esilità narrativa, si intravede la scintilla del grande autore. Molto bella la fotografia pastosa di Jong-Moo Sung.
Chi ama il cinema orientale non se lo perda.
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