Una signora infastidita dai commenti di Sabina Guzzanti sugli scandali sessuali del premier Berlusconi replica: “Meno male che gli piacciono le donne e non è frocio!”. Lo stesso Presidente del Consiglio in visita a L’Aquila ironizza con un gruppo di operai impegnati nella ricostruzione: “E le donne dove sono? Tutti gay? La prossima volta che vengo a trovarvi le porto io… le veline!”. Ci sono anche questi sprazzi omofobici nell’intenso e perturbante documentario “Draquila – L’Italia che trema” di Sabina Guzzanti presentato oggi alla stampa in Sala Buñuel. Stasera, alla proiezione ufficiale, la regista sarà presente al Palais con tutte le maestranze tecniche che hanno lavorato al film, una cinquantina di persone.
Già si parla di ‘caso politico’, forte della risonanza internazionale dovuta anche al rifiuto del ministro Bondi di recarsi al festival, pur non avendo visto il film, in seguito allo “sconcerto per la partecipazione di un’opera di propaganda che offende la verità e l’intero popolo italiano”. Le Monde parla infatti di ‘broncio’ e accosta il comportamento del ministro alla reazione di Vittorio Mussolini, nipote del duce, indignato dopo la proiezione del viscontiano “Ossessione” e di Andreotti che tuona contro “Ladri di biciclette” perché “dà un’immagine deprimente del Paese”. L’associazione “100 autori”, esprimendo solidarietà alla Guzzanti, ha anche chiesto le dimissioni di Bondi “che continua a non mantenere neanche le promesse di reintegro del FUS”.
Accolto con apprezzamenti e caldi applausi, “Draquila” è un efficace pamphlet nello stile del giornalismo d’inchiesta alla Michael Moore (“The Hollywood Reporter” considera la Guzzanti proprio ‘la risposta italiana’ all’autore di “Fahrenheit 9/11”) in grado di ricostruire con sorprendente lucidità la tragedia del terremoto aquilano svelando la gestione ‘militaresca’ e onnivora della Protezione Civile, dotata di poteri quasi assoluti grazie alla disinvolta commistione di ‘emergenze’ e ‘grandi eventi’. Così, l’annientamento di una splendida città d’arte e di cultura si è trasformato per Berlusconi in un’eccezionale occasione di rilancio d’immagine e rivalutazione delle sue doti di imprenditore edile grazie alla costruzione della new town periferica che ha però congelato ogni intervento nel centro storico della città ormai abbandonato a se stesso (davvero toccante la testimonianza dell’unico anziano rimasto asserragliato nella sua abitazione).
La Guzzanti riduce abilmente la parte satirica e confina l’imitazione del premier all’inizio del film, sapendosi giustamente defilare per far parlare i fatti denunciando l’impasse dell’opposizione e dando anche spazio ai fan di Berlusconi (l’esaltazione per il porta-champagne feticcio col simbolo della Repubblica è semplicemente agghiacciante). E la sinistra profezia nel finale sulla durata della ‘dittatura della merda’ che ricorda l’omonimo girone di pasoliniana memoria non può certo lasciare indifferenti. Nel catalogo del festival l’autrice parla di ‘giovane democrazia assoggettata’ e ha già scatenato la furia degli esponenti del governo: per Margherita Boniver del Pdl si tratta di una ‘caduta di stile delirante’.
Intanto ieri sera si è inaugurato il festival con l’epico kolossal "Robin Hood" di Ridley Scott alla presenza degli attori Russell Crowe e Cate Blanchett, quest’ultima avvolta in uno splendido Armani Privé rosa in tripla organza che omaggiava la Lady Marian volpina del classico Disney. Il regista non era presente perché reduce da un’operazione chirurgica a un ginocchio.
Spettacolare, sontuoso, con grandiose scene guerresche di massa ma poco emozionante e troppo lungo – quasi due ore e mezza – è una sorta di trascinato prequel che cerca una (improbabile) veridicità storica su Robin Longstride, arciere nella Terza Crociata di ritorno a casa dopo la morte di Riccardo Cuor di Leone in battaglia con l’impegno di consegnare la spada di un cavaliere morente all’anziano padre. Prenderà l’identità del defunto affiancandosi alla vedova Lady Marian, inizialmente restia ad apprezzarne ardire e ardore (un’eterea Cate Blanchett volitiva e sensuale, l’unico personaggio che resta impresso).
Questo ennesimo Robin Hood cinematografico rinuncia alla grazia malandrina di un Errol Flynn o alla simpatica cialtronaggine del cartoon Disney per restituire nella pelle di Russell Crowe un eroe piuttosto grezzo e monolitico, incentrato sull’azione delle sue imprese più che sui rapporti interpersonali, ridotti a battute cameratesche e dialoghi minimali.
Tra i personaggi secondari poco approfonditi, spicca un Fra’ Tac apicoltore vagamente queer con tanto di cappello protettivo a tesa larga e veletta, prodigo nel far divertire la comitiva maschile a colpi di ingollate di idromele ristoratore. La cosa migliore della tonante versione di Ridley Scott restano i titoli di coda in animazione realizzati dall’italiano Gianluigi Toccafondo, quando Robin Hood finalmente si nasconde nella foresta di Sherwood con gli altri ribelli, in fuga da Re Giovanni.
Visto che nel film è accentuata la storica rivalità tra francesi e inglesi (l’infinita battaglia finale sulla spiaggia di Dover sembra in tutto e per tutto lo sbarco in Normandia degli alleati in "Salvate il soldato Ryan") si è pensato diplomaticamente di scegliere come madrina della serata inaugurale l’inglese Christine Scott-Thomas ormai naturalizzata parigina.
di Roberto Schinardi – da Cannes
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