Sotto la superficie, niente. L’astrazione della bellezza, l’allucinazione del vacuo, un lungo incubo glam che associa modeling e vampirismo. Che cos’è The Neon Demon del regista danese Nicholas Winding Refn? È davvero un film o qualcosa di più simile alla videoarte? Pur essendo stata una delle massime delusioni in concorso a Cannes dove è stato accolto con sonori fischi – sì, delude: trama quasi inesistente, stile fortemente pubblicitario, la noia che sopravviene già a metà dell’opera – non tutto è da buttare e va comunque visto per farsene un’idea personale (c’è chi l’ha esaltato: Alberto Barbera, il direttore del Festival di Venezia, ha twittato entusiasta gridando al miglior film di Winding Refn).
Dopo molti e tosti film al maschile, in cui l’omosessualità era più o meno latente – il testosteronico Bronson, il vichingo Valhalla Rising, il pulp Solo Dio perdona – The Neon Demon si consacra alla dimensione del femminino attraverso la virginale Jesse (una bambolinesca Elle Fanning) che tenta la scalata nel fashion system losangelino scatenando la rivalità delle colleghe, pronte a divorarne letteralmente la bellezza svelando una perversa natura di vere e proprie vampire.
Il regista cerca di creare una dimensione ipnotica e seducente di raggelato mistero, da rituale cannibalico, complice la raffinata colonna sonora elettro-vibrante di Cliff Martinez, e talora ci riesce: la scena notturna con l’apparizione del puma e il globo oculare divorato sortiscono il loro effetto. Keanu Reeves un po’ sciupato è relegato in un ruolo secondario del proprietario di uno scalcinato motel dove approda Jesse: peccato, avremmo voluto vederlo di più e in una parte più corposa. Il bell’attore di origini italiane Alessandro Nivola interpreta un fashion designer che sintetizza così la sua teoria sull’argomento: “La bellezza è tutto”.
Quella che convince meno è la scena saffica necrofila in cui la tanatoesteta, ovvero la truccatrice di cadaveri, interpretata da Jena Malone, prima cerca di sedurre Jesse ma viene respinta con tanto di pedate, e poi si sfoga con un cadavere di donna alla morgue: ma lo sguardo è quello pruriginoso da soft-hard lesbochic povero di idee, in cui l’approccio omosessuale non è altro che vizio in azione. Era molto più eccitante e morbosamente perversa, ai tempi, l’atmosfera ambigua del cult Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott.
Winding Refn ha dichiarato di essere entusiasta della prestazione di Jena Malone, “determinante per la creazione di Ruby, un personaggio che nel copione era ancora un mistero. Avevo bisogno di un’attrice capace di trasformarsi e dare corpo al personaggio”.
Per il resto c’è troppo autocompiacimento estetico, patinato e feticista, in lunghe scene dai cromatismi pop con dialoghi ridotti all’osso che si allontanano dal linguaggio cinematografico per calcare gli stilemi dei fashion commercials: non a caso il regista ha lavorato a lungo in pubblicità per Gucci, H&M, Hennessey e YSL. Addirittura nei titoli di testa si firma solo con le iniziali, proprio come quest’ultimo: NWR.
L’ideale di bellezza è quello plastico e scarnificato propagandato da tanta moda contemporanea, con top filiformi – ragazze, apprezzate? – come Bella Heathcote e Abbey Lee: “Negli ultimi anni ho pensato spesso ad un film che fosse incentrato sulla bellezza – ha dichiarato Winding Refn – perché ne sono circondato ogni giorno (il regista ha una moglie, Liv Corfixen che ha realizzato un doc sul marito, e due figlie, n.d.r.). Mi rendo conto di come la bellezza sia strumento di potere nelle mani delle donne. La bellezza è una valuta sempre in crescita, mai in perdita. Nel corso della nostra evoluzione, la bellezza si va esaurendo, mentre noi ne siamo sempre più ossessionati. E questa ossessione conduce ad una follia tutta particolare”.
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