"Drama queen bullshit". Con quest’espressione molto queer Alan Cowan, l’avvocato cinico e rampante impersonato mirabilmente da Chris Waltz nello strepitoso "Carnage" di Polanski, definisce i battibecchi tra il collerico e il litigioso in cui sono coinvolti anche la signorile moglie Nancy e una coppia borghese, Michael e Penelope, il cui figlio undicenne è stato preso a bastonate in faccia dal pargolo di Alan e Nancy, rimettendoci due denti.
È davvero coinvolgente questa riduzione cinematografica di un’acclamata pièce teatrale dell’eclettica Yasmina Reza, "Le dieu du carnage" ("Il dio del massacro"), carneficina psicologica di quattro personaggi sull’orlo di una crisi di nervi in un appartamento a Brooklyn che, alla Buñuel, non riescono a lasciare e in realtà si trova a Parigi, dove si svolgeva l’originale: Polanski ha dovuto comunque girare nella capitale francese perché per noti problemi giudiziari non può mettere piede sul territorio statunitense.
In soli 79 minuti compatti, precisi, essenziali, con echi del precedente "Luna di fiele" ed elaborati movimenti della macchina da presa che fanno dimenticare la matrice teatrale del testo e l’unità di luogo, tempo e azione (a parte l’ariosa cornice ambientata nel parco dove avviene il misfatto), il regista rende al meglio la deriva comportamentale delle due coppie apparentemente intenzionate ad appianare il fattaccio con la massima civiltà. Ma eccole esplodere in rancori, invidie, attribuzioni di colpa anche all’interno delle famiglie stesse, complici dell’ottimo whiskey scozzese e una torta ghiacciata che fa venire fuori il peggio di sé anche in senso letterale, con tanto di sbalorditiva vomitata-fiume su un pregiato catalogo del pittore e drammaturgo polacco Kokoschka che, guarda caso, nelle sua produzione teatrale affrontava spesso il dualismo controverso uomo-donna.
Il merito è soprattutto di un superlativo poker d’attori (tre premi Oscar e un nominato) in una sfida di bravura che lascia senza fiato: l’ottima Kate Winslet, vincitrice ieri dell’Emmy Award per il suo ruolo nella miniserie "Mildred Pierce" (ha trionfato "Modern Family" con quattro premi) dà tutta se stessa, anima e corpo, nel ruolo non facile di Nancy, mediatrice finanziaria che non sopporta più la dipendenza del marito dal cellulare e, in generale, dal suo lavoro. Il suo contraltare con cui, a fasi alterne, si allea e si scontra è l’apparentemente quieta Penelope, una perfetta Jodie Foster, in realtà nevrastenica e soggiogata dal marito disinteressato all’arte e al rispetto per gli animali, interpretato coi giusti sottotoni da John C. Reilly: ha fatto persino scappare il criceto che non sopportava "anche per il suo nome da frocetto, Rosichino" (ma pure Nancy darà del frocetto al ragazzino vittima, in un’escalation di insulti).
E quando le due coppie metteranno a nudo le loro difficoltà nel mantenere sempre una civile compostezza, nell’essere genitori, nel sopportarsi reciprocamente ("La coppia è la prova più terribile che Dio possa infliggerci" chiosa Michael) verrà fuori anche un impietoso confronto delle scale di valori tra l’opulenta società occidentale e la miseria africana – Penelope sta scrivendo un testo sul Darfur mentre Alan è appena tornato dal Congo – dove si espleta il vero massacro del titolo ad opera di un bambino armato di lanciagranate: la responsabilità non è certo solo sua, come specularmente non ce l’ha il piccolo aggressore con bastone nella ‘civilizzata’ New York.Visto lo spessore dei dialoghi di questo brillante lavoro ignorato dalla giuria di Venezia ma apprezzato in modo unanime da critica e pubblico (nel primo weekend ha incassato discretamente, circa 870.000 euro), si consiglia la versione originale con sottotitoli, proposta da alcuni cinema quali il Centrale di Torino, l’Odeon a Firenze e il Nuovo Olimpia di Roma.
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