Chemsex, doc shock su droga e sesso estremo presentato al Togay

Weekend variegato al 31esimo TGLFF: prevalgono i temi del coming out e della difficile accettazione famigliare.

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5 min. di lettura

È un documentario potente, duro e frontale, lo choccante Chemsex di William Fairman e Max Gogarty presentato al 31esimo Torino Gay & Lesbian Film Festival che si conclude questa sera al cinema Massimo con la cerimonia di premiazione a cui parteciperà Rachele Bastreghi come ospite musicale. In Chemsex si analizza a fondo un fenomeno allarmante soprattutto nella comunità gay londinese: la diffusione sempre più incontrollata di sex party selvaggi che posso durare un intero weekend o addirittura una settimana, spesso senza alcuna precauzione e con uso massiccio delle droghe sintetiche più varie (crystal meth, metanfetamine, metadrone, il GHB che costa meno dell’alcol e si può trovare a 5 o 6 sterline).

chemsex

Analizzando a fondo sedici storie differenti – dal ventunenne sieropositivo all’ex banker precipitato nella dipendenza da queste droghe che hanno preso il posto di coca ed eroina – e riuscendo a riprendere dall’interno questi party estremi, si evidenzia il rischio e la deriva esistenziale delle persone coinvolte evitando il facile sensazionalismo nonostante immagini crude di primi piani con iniezioni in vena. Il reclutamento dei partecipanti a queste feste avviene soprattutto attraverso le applicazioni di dating online come Grindr e le location sono quasi sempre appartamenti privati. L’organizzazione del festival si è resa conto della necessità di proiettare il film dopo l’aberrante omicidio di Luca Varani a Roma.

“Il punto di partenza è la salute legata al sesso – ha spiegato uno dei registi, William FairmanOsservando molte persone in cerca di aiuto, abbiamo capito che cosa significava per queste persone vivere un’esperienza di questo tipo. Vedono la loro vita a rischio e fanno fatica a parlare dei propri problemi e della loro intimità. Non volevamo dare giudizi ma era necessario mettere a nudo gli aspetti più negativi. “Il film è scioccante – ribadisce David Stuart, terapista che nel film si occupa del recupero di alcuni ragazzi ormai dipendenti dal chemsexma per alcuni è scioccante anche il sesso omosessuale, quindi pensatelo associatelo alle droghe, alle orge e alla diffusione delle malattie. È un tema difficile da affrontare: per questo abbiamo usato un approccio clinico, medico. Il problema di queste nuove droghe è la rapida diffusione”.

Théo e Hugo 2

Nel weekend del Togay abbiamo visto una decina di film piuttosto variegati: il più bello è il lesbico La belle saison di Catherine Corsini che avevamo recensito tempo fa, mentre quello che ha colpito di più è la ronde notturna in tempo (quasi) reale, nello stile di Agnès Varda, del francese Théo e Hugo dans le même bateau di Olivier Ducastel e Jacques Martineau che inizia con una fiammeggiante scena di sesso virata in rosso della durata di venti minuti nel sex club L’Impact dove si conoscono i protagonisti – le giovani rivelazioni Geoffrey Couët e François Nambot – e prosegue in una struggente Parigi semideserta pronta a un placido risveglio.

Nel drammatico Holding the Man di Neil Armfield ci si appassiona alla travolgente storia d’amore vera tra il vitale rugbista Tim (un solare Timothy Conigrave) e l’aspirante attore John (il delicato cangurello Craig Stott) entrambi divorati dall’Aids – ma la seconda parte del film è un po’ troppo morbosa, con tanto di estrazioni di cisti polmonari in primo piano. Fiori all’occhiello sono i ruoli secondari di uno scavato Guy Pearce nei panni del padre di Tim e il premio Oscar Geoffrey Rush in quelli di un insegnante teatrale.

Closet Monster

È invece curioso, e ha qualcosa di Donnie Darko, il teen movie con inserti gotici Closet Monster di Stephen Dunn dove Isabella Rossellini doppia il criceto gender Buffy, confidente parlante del protagonista traumatizzato da piccolo per aver assistito al brutale ferimento di un gay: atmosfere vagamente gore e incertezze sessuali (tenute chiuse nell’armadio del titolo dove a finire persino il padre, buttato dentro a calci) per il film più visionario del Festival dove sbarre di ferro cercano di uscire dalla pancia del protagonista come feti impazziti.

Fourth Man Out

Le risate più gustose le ha garantite un buddy movie spassoso e senza troppe pretese, l’americano Fourth Man Out di Andrew Nackman in cui assistiamo a uno dei più esilaranti coming out della storia del cinema queer in cui una salsiccia estratta direttamente dalla bocca del papà del ragazzo gay, esasperato perché non sa più come dirlo, viene utilizzata per simulare un rapporto orale davanti alla madre sconcertata. È anche il film che riconcilia il mondo gay con quello dei maschi etero (raramente comunicanti nella cinematografia lgbt), qui solidali nel cercare un fidanzato all’amico che si è dichiarato. Nel complesso, le tematiche dominanti dei lavori presentati sono il coming out e la difficile accettazione famigliare, argomenti ancora nevralgici nonostante gli avanzamenti nel campo dei diritti gay.

Those People

Il film più stiloso resta Those People di Joey Kuhn, quasi un Party Monster in versione classy, triangolo sospirato tra un aspirante pittore, il figlio di un business man corrotto e un affascinante pianista di colore sullo sfondo dell’Upper East Side più modaiolo. Battuta cult: Qual è la tua tecnica di seduzione? Mi struggo da lontano”.

Nell’onesto e semplice Fair Haven di Kerstin Karlhuber, di cui avevamo già parlato tempo fa postandovi il trailer, si affronta l’interessante argomento delle cliniche riabilitative per gay attraverso la storia sincera di un giovane pianista, James (l’espressivo Michael Grant), che torna dal padre per aiutarlo a gestire il frutteto di famiglia dopo essere stato sottoposto a una di queste terapie presso un integralista cattolico. Nonostante la presunta cura e una giovane vergine che vorrebbe frequentarlo, non riesce a reprimere l’amore per il suo ex fidanzato da cui è stato allontanato nella speranza di una improbabile ‘conversione’ etero. “In America siamo conservatori, nonostante l’impegno di Obama. Voi in Europa siete più aperti – ha dichiarato in sala la regista -. Queste terapie sono sempre legate a motivi religiosi. Inizialmente la protagonista doveva essere una donna, poi col mio collega sceneggiatore abbiamo deciso che sarebbe stato un ragazzo”.

Fair Haven

Deludenti, invece, le quattro storie intrecciate del piatto e televisivo Beautiful Something di Joseph Graham ambientato in una Philadelphia notturna: giri di lenzuola alternati per vari personaggi stereotipati (il poeta in miseria, lo scultore nero possente, il modello promiscuo, il maturo talent agent milionario) che riflettono i peggiori difetti di certo cinema gay underground americano, ossia dialoghi convenzionali, plot prevedibile e nessuna idea personale di messa in scena.

Tra i documentari, oltre a Chemsex, abbiamo apprezzato in particolare la coproduzione britannico israeliana Oriented di Jake Witzenfeld, lucida testimonianza delle difficoltà di vivere apertamente l’omosessualità nel mondo arabo attraverso le vicende di tre giovani amici palestinesi che vivono a Tel Aviv tra cui un nazionalista che però ama un sionista. Restano infine impressi i tre minuti brucianti del fulminante cortometraggio Der Verurteilte (Il Condannato) sugli ultimi pensieri di un condannato all’impiccagione in Iran per il semplice fatto di essere gay: è fondamentale non dimenticare che in ancora 77 Paesi del mondo l’omosessualità resta un crimine punito per legge.

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Pierangelo Bucci 10.5.16 - 12:15

Un po' voyeuristico quest'interesse per il chemsex, con evidenti esagerazioni, ove si fa passare l'uso di alcune droghe sintetiche come causa di potenziali disturbi mentali, mentre esistono persone con evidenti disturbi mentali che a un certo punto utilizzano droghe sintetiche e non è la stessa cosa. Non c'è nemmeno bisogno di andare a Londra per altro, basterebbe aprire Grinder o Scruff a Milano un sabato sera qualunque.

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