Oggi dedichiamo l’intera rubrica CinemaSTop alla scommessa italiana più arrischiata e vincente della stagione: come fare un film su Giacomo Leopardi senza cadere nel tele-biopic didattico o nell’accademismo didascalico? Ci riesce su più fronti “Il giovane favoloso” di Mario Martone, operazione piuttosto riuscita di ‘modernizzare’ l’immagine impolverata di un sommo poeta ormai relegato alle antologie scolastiche e, sorpresa, renderlo molto più queer di quanto ci aspettassimo.
Avvolto dalle seducenti musiche elettro-ipnotiche del tedesco Apparat alias Sascha Ring e letteralmente abitato da un convincente Elio Germano che riduce i gigionismi alla ricerca della vera anima di Giacomo Leopardi (1798-1837) – in alcuni momenti sembra davvero incarnarne l’afflato creativo -, ribalta lo stereotipo dell’intellettuale gobbo e lamentosamente pessimista, restituendo soprattutto la vitalità inesausta della prima parte della sua vita, nella natia Recanati. Qui il padre, conte Monaldo (Massimo Popolizio), lo educa rigidamente tra le pareti dell’immensa biblioteca – le riprese sono state effettuate nella vera casa Leopardi – insieme ai fratelli Carlo (Edoardo Natoli) e Paolina (Isabella Ragonese), sorvegliati dalla madre Adelaide (Raffaella Giordano), algida e anaffettiva.
Ma il cuore del film è l’intenso rapporto tra Giacomo e l’inseparabile amico napoletano Antonio Ranieri (Michele Riondino) la cui amicizia ‘così accesa’, come ricorda Giovanni Dall’Orto, fa davvero pensare a un trasporto erotico soprattutto da parte del primo, confermata dalla rilettura di alcune sue lettere: “Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi – scrive Leopardi a Ranieri. – Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo”. “Il giovane favoloso” sposa questa tesi rendendo evidente il sottotesto omosessuale: Leopardi osserva desiderante Ranieri nudo di schiena mentre esce da una tinozza colma d’acqua; a Napoli si fa trascinare in un bordello pittoresco e guarda caso finisce non con una donna ma con una trans da cui scappa starnazzante; si fa accompagnare da un giovinetto a Pompei scatenando proprio la gelosia di Ranieri.
Se di quest’ultimo si evidenzia un’eterosessualità seduttiva anche seriale – ma il personaggio di Fanny Targioni Tozzetti interpretata da Anna Mouglalis, musa per Leopardi del ciclo di Aspasia, resta solo abbozzato – Martone sembra suggerirci che gli amori platonici femminili del poeta fossero ulteriore segno di un’omosessualità latente, tanto più che persino il trasporto amicale per il classicista Pietro Giordani sembra travalicare la stima e il profondo rispetto.
La sorprendente originalità de “Il giovane favoloso” sta anche nel fatto che la poesia è davvero vibrante protagonista e non ha nulla di stucchevole: l’Operetta Morale del Dialogo della Natura e di un Islandese si trasforma in un momento visionario con opprimente gigante femminile in pietra dalle fattezze materne mentre ‘La ginestra’ diventa puro cinema nello splendido finale col Vesuvio eruttante.
Se solo il regista si fosse trattenuto dalla smania di ‘mostrare’ troppo nell’ultima parte del film, la più convenzionale, sull’epidemia di colera che lo porterà alla morte, e avesse operato qualche taglio (i 137’ potevano essere scorciati di un abbondante quarto d’ora), probabilmente staremmo qui a parlare di un vero capolavoro: ma “Il giovane favoloso” resta un’opera notevole assolutamente da vedere.
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