Lunghi corridoi semivuoti che ricordano l’Overlook Hotel di ‘Shining‘, ragazzi dall’aria triste che vagano silenziosi, un’implacabile atmosfera sinistra che si satura d’inquietudine:
è il liceo americano in ‘Elephant‘ di Gus Van Sant, doppia Palma d’Oro a Cannes 2003 (miglior film e miglior regia), uno dei film più allarmanti e suggestivi dell’anno, in uscita in tutt’Italia venerdì 3 distribuito dalla Bim che proprio in questi giorni festeggia vent’anni di attività. Girato nella scuola Whitaker di Portland, Oregon, e ispirato alla tragedia del liceo di Columbine, dove nel giugno 1999 due ragazzi di sedici e diciassette anni uccisero dodici studenti, un insegnante e se stessi, non ha nulla a che vedere con le ricostruzioni di fiction o documentarie tipiche del cinema americano: con uno stile personale, asciutto, fatto di lunghi e poetici piani sequenza, grandangoli fissi, improvvisi e leggeri rallentamenti dell’azione, un uso particolare del suono e delle musiche come se uscissero dalla testa dei ragazzi (le voci che si sommano nella mensa e diventano assordanti, la musica di Beethoven che si mescola a temi contemporanei) Van Sant non vuole spiegare la tragedia, cercare le cause di un eccidio assurdo quanto piuttosto trasmettere pneumatiche sensazioni di crescente angoscia e poi descrivere analiticamente la messa in pratica del massacro.
Diverse scene sono ripetute e osservate dai differenti punti di vista dei personaggi (“Ho sempre pensato che non esista un’unica realtà” ha dichiarato Van Sant) che compiono azioni estremamente ordinarie:
un ragazzo scatta foto e poi le sviluppa nel laboratorio della scuola, una ragazza bruttina viene presa in giro perché non vuole mettere i pantaloncini corti per fare ginnastica, tre ragazze parlano di uomini alla mensa della scuola. C’è anche un bacio gay tra i due killer prima della strage a proposito del quale il regista ha però dichiarato in un’intervista sulla rivista Têtu: “Si tratta non tanto di un approccio gay tra gay quanto di un approccio gay tra etero. I miei eroi lo fanno perché sanno che entro un’ora moriranno. Hanno solo bisogno, in quel momento, di toccarsi, di un contatto carnale”. E di queer c’è pure un discorso abbastanza surreale tra ragazzi della Gay&Straight Alliance sulla riconoscibilità dei gay e sulla teoria genetica dell’omosessualità.
Il titolo potente, misterioso, azzeccatissimo, si riferisce all’enormità del problema della violenza (tra i disegni in casa di Eric si vede anche un elefante) ed è stato ispirato al regista da un omonimo film del 1989 girato da Alan Clark sugli scontri politici in Irlanda del Nord.
Per chi cerca qualcosa di più leggero venerdì esce anche il nuovo film di Woody Allen ‘Anything Else‘ con Christina Ricci e Jason Biggs sulle paranoie dell’ebreo sessantenne David Dobel (lo stesso Allen) che si innamora della giovane Amanda (la Ricci) e dovrà vedersela con le ire del mafioso Harvey (un irresistibile Danny De Vito). Nevrosi e battute doc come nella migliore tradizione alleniana.
Possiamo ritrovare Biggs anche nel nuovo episodio di ‘American Pie: Il matrimonio‘ di Jesse Dylan dove finalmente si sposa con Michelle. Chi preferisce il cinema di casa nostra può optare sugli italianissimi ‘Prendimi e portami via‘ di Tonino Zangardi con Valeria Golino e Rodolfo Laganà o ‘Mio Cognato‘ del regista di ‘La CapaGira’ Alessandro Piva con Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio. Ma questa settimana noi puntiamo sugli americani.
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