Miracolo in Piemonte. Un incasso di 191.000 euro, aumentato del 6% rispetto all’anno scorso, e ben 69.000 ingressi. Non ci sono che lodi per Gianni Amelio e il suo staff della 29esima edizione del Torino Film Festival. Con poco più di 2 milioni di euro, è riuscito a portare sotto la Mole star e attori emergenti, cinema spettacolare e di ricerca, popolare e per cinefili, pur con qualche polemica e un tappeto rosso contestato: perché non farlo, per l’edizione del trentennale, coi colori della città, ossia blu e giallo?
Un’orgia visiva e sonora in grado di soddisfare un po’ tutti, conclusasi però con una cerimonia di premiazione tiepida e un po’ impacciata, per la regia di Felice Cappa, in cui il grammelot improvvisato dalla presentatrice Maria Cassi, stimata attrice teatrale, risultava un po’ dissonante. Ha vinto a sorpresa una simpatica e laconica opera prima islandese ambientata negli anni ‘80, senza cascami d’autore, "Á Annan Veg" ("Una strada o l’altra") del trentatreenne Hafsteinn Gunnar Sigurdsson.
Due operai sono impegnati a riassestare un lungo manto stradale: uno è ossessionato dal sesso, si masturba in continuazione anche nella tenda dove dorme col collega e gli rivela di aver messo incinta una ragazza; l’altro viene lasciato dalla moglie, sorella del primo, e cade in depressione. Tra birre stappate coi denti e scorribande in carriola nello splendido paesaggio lunare islandese, si aiuteranno a vicenda riscoprendo un’inattesa amicizia virile mentre le figure femminili restano poco più che fantasmi.
Un premio più che alle intenzioni che ai contenuti anche se la sceneggiatura asciutta è scritta proprio bene (si è aggiudicato anche il Premio Holden): non ha ancora una distribuzione italiana ed è stato realizzato col budget risicato di 150.000 euro. Ieri sera, alla proiezione al cinema Massimo stracolmo, è stato poco applaudito. Era più bello il francese "17 filles" delle sorelle Coulin che però è stato acquistato da Teodora e si è dovuto accontentare del premio speciale della giuria ex-aequo con l’arabo-libanese "Ok, Enough, Goodbye".
Come miglior attore è stato scelto il giovane inglese Martin Compston che interpreta con virtuosa immedesimazione il ragazzo violentato sotto le docce nel vigoroso dramma carcerario "Ghosted" di Craig Viveiros.
Un bizzarro doc gay sperimentale concorrente al Doc Award è entrato nel listino di Atlantide Entertainment: trattasi dell’indefinibile "The Terrorists" del thailandese Thunska, un erratico assemblaggio di 17 video-frammenti che mescolano scene di pesca notturne, rivolte urbane contro il primo ministro Abhisit Vejjajiva e davanti all’Ambasciata delle Nazioni Unite di Bangkok, sessioni fotografiche in un acquario scenografico e scene omoerotiche esplicite in primo piano: una masturbazione effettuata con un piede a un uomo bendato, onanismo sotto la doccia e sul letto, una lunga immersione di un ragazzo nudo in un fiume. Non si capisce bene che cosa voglia dire il regista, ma l’effetto di straniamento fa riflettere lo spettatore, e non è poca cosa: è forse ‘terroristico’ persino l’atto di osservare pratiche sessuali intime e private per definizione?
Chiusura riuscita grazie al coinvolgente dramma gender "Albert Nobbs" di Rodrigo García con una straordinaria Glenn Close nel difficile ruolo di un maggiordomo del Morrison’s Hotel di Dublino alla fine dell’800. Non il classico ‘travestimento’ alla Yentl di una donna etero nei panni di un maschio, bensì il caso di una donna lesbica con divisa maschile che cerca moglie e conoscerà un decoratore accasato (Janet McTeer) che in realtà è una donna omosessuale convivente con la propria compagnia. Una vertigine di genere che trova massima espressione nella scena più bella del film: le due donne, finalmente in abiti femminili, corrono su una spiaggia con movenze e falcate da veri uomini (e sono interpretati da due donne!). L’immobilità trattenuta, lo sguardo disperato, il desiderio imploso nell’espressione quasi statuaria di un’eccezionale Glenn Close la fanno sparire completamente dietro al personaggio che sembra incarnare con una familiarità assoluta. In ruoli minori troviamo anche l’Alice burtoniana Mia Wasikowska, brava protagonista dell’ultimo, delicatissimo, dramma di Gus Van Sant "Restless", l’avvenente Jonathan Rhys Meyers nei panni di un visconte festaiolo e la mai dimenticata Brenda Fricker, premio Oscar per "Il mio piede sinistro".
Pur senza avere grandi guizzi nella progressione narrativa, "Albert Nobbs" vanta una ricostruzione storica e d’ambiente piuttosto accurata e forse mai si era vista al cinema una storia d’identità intergenere così credibile in un’epoca storica dove imperversavano invece ordinari travestimenti teatrali o goliardici mascheramenti carnevaleschi. Il prossimo anno scadrà il mandato del direttore Gianni Amelio e speriamo che la sua attività registica non lo allontani da Torino: meriterebbe al buio di essere riconfermato a vita.
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