Arriva sul grande schermo una delle icone del moderno fumetto dei supereroi americani, quel verde Hulk creato nel 1962 dal papà dell’Uomo Ragno, Stan Lee, e poi diventato popolarissimo negli anni ’70 tanto da dar vita anche ad una nota serie televisiva, intitolata “L’incredibile Hulk”.
Per il suo trasferimento su celluloide è sceso in campo uno dei più interessanti e dotati registi asiatici, il taiwanese Ang Lee, approdato ad una brillante carriera internazionale con film come “Tempesta di ghiaccio”, “Ragione e sentimento” ed il pluripremiato “La tigre e il dragone”, ma che probabilmente i lettori di queste pagine ricorderanno in particolare per quella sensibile e intensa commedia sentimentale a tematica gay che era “Il banchetto di nozze”. Il suo approccio al materiale originale del comic in questione è stato, come c’era da aspettarsi, piacevolmente diverso e più intelligente rispetto alle tante e sciatte avventurette usa e getta che ci arrivano da oltreoceano. La genesi del personaggio è alla base della vicenda.
Il Dottor David Banner conduce un esperimento su se stesso lavorando in un’installazione militare. Quando diventa padre si accorge che il figlioletto Bruce ha ereditato alcune caratteristiche genetiche che definire anomalie è dir poco (il piccolino diventa verdastro quando arrabbiato…!). Una volta diventato adulto Bruce (l’australiano Eric Bana) intraprende egli stesso la carriera di ricercatore scientifico e si trova a lavorare in un laboratorio con la collega Betty Ross (Jennifer Connelly, premio Oscar per A beautiful mind), per la quale ha una certa timida attrazione. La giovane donna ha un rapporto difficile con il padre, un Generale dell’esercito americano (interpretato da Sam Elliott, Mask – Dietro la maschera con Cher). A seguito del proverbiale incidente che lo spinge ad intervenire per salvare la vita ad un collega, egli viene esposto ad un’altissima dose di radiazioni che sarebbero risultate fatali per chiunque. Combinandosi con le preesistenti anomalie del suo patrimonio genetico queste provocano un inaspettato quanto drammatico mutamento: durante uno dei suoi inspiegabili e sempre più frequenti attacchi d’ira, Bruce si trasforma in una gigantesca creatura alta tre volte un uomo e con la pelle di colore verde. In questi momenti la furia lo acceca e l’uomo, tornato normale, ha solo ricordi vaghi e confusi di quello che gli è successo.
A complicare le cose interviene la riapparizione del padre David (uno scapigliato e scompigliato Nick Nolte, Il principe delle maree) nel cui passato sia professionale che familiare si nascondono le chiavi per capire quello che sta succedendo al figlio Bruce…
Davvero uno strano film questo “Hulk“. Mille miglia lontano per tono e atmosfere dagli altri tanti – forse troppi – film tratti dagli albi a fumetti dei supereroi Marvel. E’ quasi un dramma familiare, mescolato con la pericolosità degli esperimenti scientifici quando non sorretti dall’integrita morale di chi li compie. Il film stesso è per certi versi esso stesso un esperimento, un curioso ibrido tra la tipica formula del blockbuster americano ed il film d’Essai.
Ang Lee porta con sé la sua sensibilità e il suo interesse per lo sviluppo dei personaggi ma il risultato convince solo parzialmente. Un po’ Frankenstein, un po’ King Kong, un po’ Dr. Jeckyll e Mr Hyde, “Hulk” è un film che gioca all’analisi dei temi dell’esistenza in un contesto forse non adattissimo visto che, ogni qualvolta che il gigante verde irrompe sullo schermo, sembra di trovarsi seduti di fronte ad una consolle Playstation.
Dennis Muren, responsabile degli effetti visivi del film, ha raccontato che certo la sfida stava nel come poter rendere credibile un personaggio simile sullo schermo, ma ha anche confessato che il regista stesso lo voleva capace di compiere azioni e movimenti (tipo procedere a grandi balzelloni di qualche chilometro ciascuno) assolutamente irreali e tipici della dimensione fumettistica originaria del personaggio. Il tentativo dunque era quello di creare una sorta di realtà modificata, non necessariamente realistica e verosimile. Purtroppo questo cozza in modo distruttivo con l’altro aspetto del progetto, quello di raccontare una storia che fosse non solo avventura e azione ma anche dramma familiare, approfondimento psicologico e anche, per certi aspetti, quasi una tragedia greca. Quando questo ipermuscoloso pupazzo digitale assolutamente “finto” e cartoonesco entra in scena, tutto l’aspetto concettuale tentato dal cineasta si sfalda irrimediabilmente ed i risultati rischiano di lasciare perplessi sia i ragazzini in cerca di azione ed esplosioni, sia gli adulti appassionati di cinema che vogliono andare a vedere il nuovo “Un film di Ang Lee”.
Encomiabili le performance degli attori, in particolare il protagonista Eric Bana, visto in Black Hawk Down di Ridley Scott e che adesso sta girando il mitologico Troia al fianco di Brad Pitt. Splendido il montaggio, che utilizza innovativi cambi di quadro ispirati alle tavole dei fumetti, e le musiche del sempre bravo Danny Elfman, in particolare il tema principale (purtroppo anche quello non sfruttato appieno neanche nei titoli di coda, rimpiazzato ben presto da una mediocre canzone). In definitiva un nobile tentativo, ma fallito nel suo complesso.
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