La belle saison, quanta vita in quell’amore lesbico anni 70!

È uscita in Francia la vitalissima storia d'amore saffico diretta da Catherine Corsini

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La solitudine è terribile“. Il papà agricoltore inchioda così la figlia mascolina che ‘non vuole sposarsi’ e non accetta la corte discreta del rassicurante Antoine, garanzia agognata di due braccia possenti utili per la trebbiatura. Ma lei non pensa che alla sua amata con cui si scambia effusioni di nascosto, al riparo dagli sguardi e dai pregiudizi radicati in una campagna francese arcaica e remota. È il 1971, siamo nel vitalissimo La belle saison di Catherine Corsini, appassionato inno amoroso orgogliosamente femminista, che del risveglio sociale seguito al ‘bel maggio’ parigino vuole restituire soprattutto quello slancio collettivo al femminile, quell’insieme di speranze e afflati rivoluzionari in cui le donne sì riappropriavano del loro corpo, creavano gruppi solidali contro il maschilismo imperante e si lasciavano andare anche a provocazioni naïf come sculacciare sederi di uomini per strada.

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Ma La belle saison non ha pretese ideologico-politiche ed è soprattutto una grande storia d’amore, solare e schietta, tra due donne di diversa estrazione sociale: la ventitreenne Delphine (Izïa Higelin, musicista rock, una rivelazione), reduce da una delusione amorosa con la ragazza di cui accennavamo sopra, lascia l’amata campagna per Parigi, ribollente di tensioni sociali e movimenti d’emancipazione femminile, dove conosce la trentacinquenne militante Carole (Cécile De France, pura luce, ormai abbonata a ruoli lesbici). Quest’ultima convive col compagno Manuel (Benjamin Bellecour), non gradisce l’approccio diretto di Delphine ma in un batter d’occhio s’innamora della ragazza – troppo in fretta, obiettivamente: la sceneggiatura trancia in maniera un po’ spiccia l’evoluzione psicologica del personaggio di Carole – e decide di seguirla nei suoi amati campi nella speranza di poter vivere una sana vita agreste insieme alla famiglia di Delphine.

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È inevitabile l’accostamento al sublime La vita di Adèle – il broncio burroso della Higelin ricorda tra l’altro un po’ quello di Adèle Exarchopoulos – anche perché le scene di sesso sono piuttosto esplicite e ravvicinate, con una macchina da presa epidermica che accarezza costantemente i corpi nudi polposi, soprattutto quello di Carole (“Ho provato un autentico piacere nel filmare Cécile – ha dichiarato la regista -. Mi capita d’innamorarmi delle mie attrici mentre giro. Ma è un innamoramento cinematografico, che finisce lì“). Sebbene la Corsini non raggiunga le vette espressive di Kechiche, bisogna riconoscere un certo, spontaneo naturalismo bucolico che infonde energia e linfa vitale alla vicenda amorosa. Il rischio di una presa di posizione femminista programmatica e ad oltranza è sempre dietro l’angolo – i maschi sono poco più di personaggi-stampella decorativi, vittime e/o invalidi – ma la regista è abile nel tratteggiare in poche scene essenziali la difficoltà tutta maschile di comprendere queste nuove femmine non sottomesse in grado di decidere liberamente della propria esistenza.

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Non manca una certa ironia – la scena in cui il gruppo irrompe nella clinica psichiatrica per liberare l’omosessuale costretto a un’improbabile cura ‘riparativa’ è una gag di puro slapstick – e l’anima terragna della vita contadina viene restituita sullo schermo in maniera assai ispirata (strepitoso il personaggio di madre-matrigna terrorizzata all’idea di una figlia ‘pervertita’, interpretato da una dolente Noémie Lvovsky).

La belle saison si è aggiudicata all’ultimo Festival di Locarno il Variety Award che segnala l’appeal potenzialmente commerciale di validi film d’autore: in Italia, però, non se n’è ancora accorto alcun distributore mentre in Francia è uscito la scorsa settimana con un buon esito al botteghino.

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