Che fine aveva fatto Kelly McGillis? Ce la ricordavamo fatalona professoressa di astrofisica che seduceva il fascinoso Tom Cruise, impavido pilota di sfreccianti F-14 in Top Gun, nel lontano 1986; oppure, un anno prima, con cappellone e figlioletto al seguito, nei casti panni di una fervente protestante Amish con tendenza all’innamoramento per il mite poliziotto Harrison Ford in Witness.
In realtà la McGillis, che il critico americano Leonard Maltin definisce ‘una delle promesse non mantenute del cinema anni ’80’, ebbe ancora una grande occasione quando recitò a fianco di Jodie Foster in Sotto accusa nell’88; Jodie però vinse un Oscar, spostò su di lei tutta l’attenzione dei media e Kelly passò in secondo piano. Poi sparì dalle grandi produzioni, si sposò due volte (ma nell’ambiente dei registi ‘indie’ newyorchesi corre voce che a Yale ebbe una relazione proprio con Jodie Foster) e fece due figlie, aprì il ristorante ‘Da Kelly’ a Key West, turistica meta isolana molto fashion (e molto gay) a largo della Florida, e si fece dimenticare dal grande pubblico.
Ritorna ora all’attenzione internazionale con un curioso film di Samantha Lang, in foto (la regista australiana che nel ’97 portò Il pozzo in concorso a Cannes), un lesbo-thriller con matrice letteraria (è tratto dall’omonimo romanzo in versi di Dorothy Porter, una delle scrittrici australiane più in voga, già paragonata a Raymond Chandler) ambientato nei circoli di poesia off-off della Sidney contemporanea: una detective privata, Jill Fitzpatrick, una lesbica mascolina dai corti capelli rossi e con una vistosa cicatrice vicino a un occhio, è incaricata da una coppia di cercare Mickey, la figlia adolescente scomparsa; quando si scopre il cadavere e una videocassetta in cui la ragazza recita versi erotici, le indagini si spostano verso la sua insegnante di poesia, l’affascinante professoressa Diana di cui Jill ben presto si innamora. La dottoressa non tarderà a ricambiare le attenzioni dell’investigatrice confessando di essere bisex e avere un marito per altro assolutamente non turbato dalla relazione al femminile della moglie, anzi molto interessato a un articolato ménage à trois. Quando Jill scoprirà inquietanti particolari sulla vicenda sarà costretta a mettere ordine fra le travolgenti questioni passionali e l’indagine poliziesca.
Se dal punto di vista della pura trama thriller ‘La maschera di scimmia‘ non ha particolari doti di scrittura (la suspence latita e ci sono diverse cadute di ritmo) è invece interessante per come tratteggia la relazione tra le due donne, tutta improntata su una certa ‘crudezza’ tipicamente australiana (l’erotismo quasi pornografico delle poesie, la volgarità di molti dialoghi, le scene di sesso esplicito). Kelly McGillis, quarantaquattrenne senza paure, esibisce con insolita disinvoltura un corpo imperfetto, gonfio, matronale, ma proprio per questo forse più affascinante e realistico: nelle molte scene erotiche la telecamera indugia sui corpi rilassati e placidi delle due donne dopo l’amore, mentre dialogano teneramente intrecciate; il volto della McGillis col tempo si è fatto più scavato, più duro, quasi animalesco ma forse proprio per questo adattissimo al ruolo. Jill è invece interpretata dalla brava Susie Porter, un furetto selvaggio mascolino e determinato dai luminescenti occhi chiari, sempre in fragile equilibrio tra passionalità e autocontrollo.
‘La maschera di scimmia’, dopo essere stato in concorso al Noir in Festival di Courmayeur e al Festival Internazionale Cinema delle Donne di Torino, sarà distribuito nei prossimi mesi in tutta Italia dalla Fandango.
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