La “prestigiosa insolenza” di Leopoldo Mastelloni

Caustico e urticante, il grande artista napoletano è davvero una voce fuori dal coro. Autore di un bel doc su Patroni Griffi, ci racconta il suo rapporto con l'arte e perché è contrario al Gay Pride.

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Che personaggio, Leopoldo Mastelloni. Ti travolge con quel suo sarcasmo urticante, senza peli sulla lingua, schermandosi dietro giudizi caustici e tranchants ma poi si rivela di una simpatia comunicativa davvero rara, offrendo un lato di sé inaspettatamente affabile e giocoso. L’abbiamo conosciuto al festival glbt di Torino, dove ha presentato un gran bel documentario, Metti una sera con… Patroni Griffi, che rappresenta la summa di quel sodalizio artistico durato 35 anni che ha fatto storia e ci consegna il meglio del Mastelloni che amiamo di più, l’attore teatrale d’alta scuola, in grado di trasformare in pura arte espressiva quella "prestigiosa insolenza" che gli aveva giustamente attribuito il suo amato Peppino.

Ad aprile hai partecipato al Capri Art Film Festival, com’è andata?
Il film festival era una cosa avulsa dalla tradizione caprese. È organizzato da alcuni giovani di vent’anni che si occupano di cultura con grande entusiasmo e voglia di apprendere. Il tema di quest’edizione era la diversità intesa sotto vari punti di vista. Ho presentato uno spettacolo che si chiama Shador, scritto "alla napoletana". Si tratta di uno chador universale non solo femminile, ma di chi cela la propria identità e non ha il coraggio di essere se stesso.

Ti piace Torino?Il festival è bello ma Torino è una città respingente. Un tempo eravate falsi e cortesi, ora solo falsi! Anche il personale dei teatri, che ti vede da vent’anni, non saluta più.

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Hai iniziato a recitare Genet al Teatro Esse di Napoli, vero?Sì, ma anche Seneca. Ho fatto un teatro essenzialmente politico ma era teatro al cento per cento fatto di corpo, anima, recitazione, dizione, scene e colori. C’erano Odette Nicoletti, Mauro Garosio, Roberto De Simone, Beppe Barra e altri attori. Come uditrice avevamo Lina Sastri. Studiavamo molto, era come un’accademia. È durata cinque anni. Patroni Griffi viene però molto dopo. Poi è nato il Pierrot che arriva dal teatro giapponese. Non mi interessava Pulcinella, il teatro di maschera, volevo un volto che non fosse quello di Mastelloni ma con l’anima di Mastelloni. Ho sempre fatto contaminazione, nel teatro.

Raccontami del tuo rapporto con Giuseppe Patroni Griffi…Non c’è mai stato niente tra me e Peppino, non siamo mai stati amanti, nemmeno per un attimo: forse questa è la cosa particolare che mi lega a lui. Il mio film è un omaggio a quella che è l’arte, tra noi c’è stata una grande unione artistica, con grandi liti che hanno portato buoni frutti. L’unica volta che l’ho visto piangere è stato quando Peppino ha visto questo film sulla sua vita. Un mese dopo è mancato. Il film è una costruzione a posteriori sul mio rapporto con lui. Ogni frame, ogni stacco è fatto con le mie mani. Per esempio durante la famosa scena del bacio a tre di Metti una sera a cena c’è la mia voce che canta The man I love in napoletano. Un giorno Peppino mi disse: se non avessi fatto l’attore avresti dovuto fare l’operatore o il montatore. Fino all’ultimo giorno ha detto di me: «Tenetelo da conto». Le sue infermiere mi confidarono che parlava sempre di me, diceva che avevo fatto delle cose bellissime per lui. Siamo stati Cric e Croc, eravamo come due compagni di scuola. Da lui ho imparato la levità della cultura e non la saccenza. Carnalità è stato lo spettacolo della mia vita, poi Peppino ha realizzato Cammuriata. Per lui ho fatto di tutto, il vecchio e il giovane.

Che cosa ami di più di Patroni Griffi artista?Tra i film sceglierei Identikit con Liz Taylor, una grande attrice. È un film straordinario, con quell’esplosione sul Lungo Tevere… Sembra fatto ieri. Mi fa ancora impressione Addio, fratello crudele. Tutti hanno rubato da lui. Diceva che la cosa più bella che aveva era il suo libro La morte della bellezza ma a me non piaceva. Pensa che nel gruppo di amici che frequentava da giovane c’era Giorgio Napolitano, è un peccato che non l’abbia visto alla Presidenza della Repubblica…

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Veniamo al Mastelloni cinematografico: hai interpretato un transessuale in Napoli serenata calibro 9 di Alfonso Brescia…Girai una sola mattinata. Era il primo film che produceva Ciro Ippolito. Mi chiese di fare una parte con Mario Merola, una prostituta trans. È stato un piacere fatto a un amico. Sapevo di fare una cosa di rottura. Io sono sempre stato ignorato dalla critica ufficiale: ho avallato Mario Merola e la sua cinematografia! Invece, tre anni prima avevo fatto La pupa del gangster (di Giorgio Capitano nel 1975 con Sophia Loren e Marcello Mastroianni, ndr) e nacque una grande amicizia con la famiglia Mastroianni.

In tv, tra l’86 e l’87, hai interpretato Lady Pizzella in Un fantastico tragico venerdì di Paolo Villaggio. Che personaggio era?È durata sei giorni ma abbiamo girato 15 puntate. In tv non erano mai stati fatti i videoclip con sei telecamere. L’ha voluta Berlusconi e gli sono grato. Sono orgoglioso di Lady Pizzella, è stata una bellissima esperienza: quella è Mastelloni. C’è un personaggio che manda una lettera con un argomento comico a varie Lady Pizzella, tutte diverse. Villaggio non finì le registrazioni: sono ancora in archivio Mediaset.

Dalla Rai sei stato invece ostracizzato per una bestemmia pronunciata a Blitz nell’84…Non è perché ho detto la bestemmia che sono stato messo all’indice. Intorno al Vaticano non c’è l’Italia ma viceversa: ci circondano. La mia forza l’hanno dovuta arginare con quella scusa, mi volevano tappare la bocca. Così sono andato sulla tv libera. Vorrei togliere il potere politico della tv: non voglio vedere i politici sul piccolo schermo. Quando fanno le leggi se vanno sempre in televisione? C’è solo folclore che uccide la cultura. E toglierei la gente qualunque dalla tv insieme alle lamentele della vicina…

Però hai ceduto alla tentazione di un reality, la Fattoria, nel 2006…
Lì ci siamo voluti fare strumentalizzare. Ma non ho mai ‘scheccato’. Ho fatto piuttosto uno sketch: lì vuol dire rompere i canoni.

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Sei amato dalle nuove generazioni soprattutto come cantante: al festival ti ho visto autografare copie di dischi cult quali Il mio slip fa pam pam e AmbiguitàLa mia vita è musica! Lo slip è stato fatto con la Ricordi, pensa che è stata Mara Maionchi a proporre il 45 giri. In realtà volevo farla più in stile "Disco Music". Vendette 30.000 copie. Dovevo fare il 33 giri ma la Ricordi voleva che facessi solo il cantante. La musica leggera è una brutta bestia: vuole l’esclusiva. L’impresario Gigante di Mina mi chiese di chiudere col teatro! Ambiguità la scrissi in una notte e la registrai una volta sola con un unico errore di playback. La copertina l’ha realizzata una grande fotografa, per anni collaboratrice de L’Espresso, Donatella Rimoldi. È la mamma del regista di Gomorra, Matteo Garrone.

Raccontami del tuo incontro con Andy Warhol…Andy venne a Napoli per ritirare le chiavi della città, mi sembra fosse il 1981. L’ho rincontrato nell’83, all’inaugurazione delle Trump Towers. Mi fece sette disegni con dedica To Leopoldo with love ma li strappai perché aveva un tremendo ritardo e mi arrabbiai…

Sei contrario al Gay Pride, vero?
Meno se ne parla e meglio è: voi confondete l’omosessualità con l’effemminatezza. Non vedo perché baciarsi in pubblico. Sui diritti sono d’accordo ma preferisco la non esibizione neanche dell’etero, l’amore deve avere pudore. L’endemia delle nuove generazioni è l’apparenza. Ho 64 anni, ho visto diverse generazioni passarmi intorno. C’è stato un fermo dovuto alla comunicazione di massa. Viviamo un’epoca di fascismo bianco. Non mi sta bene il Gay Pride, è stonato, fa ridere, comunica solo la piuma nel culo. Imparate da Vladimir Luxuria, la compostezza di quella donna. La richiesta del matrimonio è una protervia, diventa una parodia. Dobbiamo comunque cacciare il Papa.

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