“Les Invisibles, essere gay a sessant’anni secondo Lifshitz

"I media sono focalizzati sui giovani ma è assurdo e illogico" sostiene Sébastien Lifshitz, autore di "Les Invisibles", un intenso doc sulla vecchiaia glbt presentato a Cannes. L'abbiamo intervistato.

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"Vecchio, diranno che sei vecchio" cantava vent’anni fa Renato Zero nella dolente "Spalle al muro". Un tabù, quello dell’anzianità, ancora persistente a molti livelli (culturale, sociale, mediatico) ma che con gradualità, perlomeno al cinema, si sta superando o almeno mettendo in discussione grazie a opere di valore quali lo splendido e straziante dramma famigliare "Amour" di Michael Haneke che si candida prepotentemente alla Palma d’Oro. Un infernale abisso privato messo in scena con un’encomiabile lucidità priva di qualsiasi patetismo, in grado di trasmettere reale malessere (davvero ardimentose le interpretazioni dei protagonisti Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva).
L’argomento viene invece affrontato da un punto di vista queer nell’intenso documentario "Les Invisibles" ("Gli invisibili") di Sébastien Lifshitz, accorato ritratto a tutto tondo di una decina di omosessuali nati tra le due guerre, di cui si ricostruisce con attenta sensibilità il vissuto quotidiano, la memoria identitaria, il radicamento in un tessuto sociale grazie al proprio lavoro più che all’orientamento sociale spesso occultato o negato.
Abbiamo intervistato il regista.

Qual è la genesi di questo progetto?Nasce da una serie di foto che ho trovato in alcuni album di famiglia in un mercato delle pulci. Tra di esse c’erano quelle di una coppia di anziane borghesi, piuttosto ‘old France’, che mi sembravano lesbiche. Ne ho scoperte altre, dagli anni ’20 ai ’60. Io ho 40 anni: mi sono chiesto che cosa significa invecchiare, come sarò a 60 e 70 anni. Non ho immagini di riferimento. Nasce quindi da un desiderio molto personale.

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L’incipit del film con l’allevatore di volatili che aiuta l’uccellino a nascere favorendo lo schiudersi dell’uovo è potente e fortemente simbolica.Sì, mi sembrava un bell’inizio da un punto di vista cinematografico. Sono immagini rare, piene di vita. E non volevo ridurre i protagonisti all’identità sessuale. Amavo l’idea che fossero persone e non personaggi, perciò ho fatto un documentario e non un film di finzione.

Come si è svolto il casting?
È durato un anno e mezzo, abbiamo provinato una settantina di persone. Una coppia scelta è poi rimasta davvero ‘invisibile’: aveva problemi ad accettarsi e ha rinunciato.

Emerge dal film una totale assenza di vittimismo, la loro omosessualità risulta vissuta in maniera non traumatica.Mi sono reso conto che la maggioranza degli intervistati aveva vissuto vite meno difficili di quello che immaginassi. Volevo poi che fossero gente anonima e di tutti gli ambiti sociali. Anche le foto esprimevano il contrario della vittimizzazione.

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La natura è molto presente nel film, alcuni degli intervistati vivono immersi nella campagna e ciò trasmette implicitamente anche un’idea dell’omosessualità come qualcosa di assolutamente naturale.Sì, volevo che la natura incarnasse una certa pienezza e un senso di pace in cui si immergono le storie raccontate.

La vecchiaia al cinema resta ancora un tabù, soprattutto nel cinema lgbt, anche se recentemente qualcosa si muove, penso al film basco "80 giorni" o al focus dedicato agli anziani all’ultimo festival gay di Torino.I media sono molto focalizzati sulla giovinezza ma è assurdo e illogico. Vige una sorta di convenzione secondo la quale sono i giovani che consumano mentre in realtà la società è sempre più anziana. È molto malsano tutto ciò. Siamo tutti destinati a invecchiare.

È molto interessante come in particolare le protagoniste del film siano state molto attive nella militanza non solo gay ma anche a favore dell’aborto, per i diritti delle donne.È una realtà storica: la rivendicazioni dei diritti ha mescolato più livelli e tutti i movimenti sociali sono stati coinvolti in un modo trasversale, costituendone in realtà uno solo con le stesse richieste. Ciò mostra il valore dell’impegno e la forza del cambiamento.

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Con le ultime elezioni politiche francesi, secondo lei, ci sarà un’ulteriore evoluzione?Sì, qualcosa cambierà. Vogliamo avere diritti per mettere ordine nella situazione giuridica riguardo a ciò che è già realtà, come le molte famiglie omoparentali. La società è più tollerante di quello che si immagina e non solo in fatto di libertinaggio.

Il tema del viaggio è una costante del suo cinema. Qui il viaggio è soprattutto nel tempo, nella memoria?C’è una ricerca nel tempo ma anche una diversità geografica, attraverso la rappresentazione dei vari luoghi della Francia dove ho girato alla ricerca dei protagonisti e delle loro storie.

Sta già lavorando a un nuovo progetto?Sì, girerò tra breve. Posso solo dire che sarà ancora un documentario.

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