È stato un tripudio come mai si era visto. È iniziato coi botti il nuovo/vecchio Lovers Film Festival, centrifuga colorata di immagini-suoni-movimenti che ha mandato in visibilio la sala del Massimo stracolma, manco fosse un boeing transcontinentale pieno di pazze.
Parte in sesta, Irene Dionisio, neo direttrice illuminata, regista di talento (il necessario, tragico, commovente e ironico Le ultime cose) che ha fatto imbarcare nel sogno gender una nuova generazione di spettatori, aperti a sperimentazioni, ibridazioni, contaminazioni e visioni chiare con una serata emozionante, variegata, carica di energia: ecco il grande Pino Strabioli nel recital Pensieri in musica oltre il confine che fa rivivere Sandro Penna, Lucio Dalla e Umberto Bindi – un inedito semplicemente commovente – attraverso la musica avvolgente degli Gnu Quartet e una magica apparizione. Sì, è lei, Violante Placido, madrina di elezione affettiva, splendida cornucopia dorata che ammalia il pubblico e strega tutti senza distinzione di nessun tipo nella sua bellissima Precipitazioni – interpretazione assai ispirata – seguita da Lou Reed che sembrava presente in anima e corpo.
A seguire un biopic solido, tradizionale, ben fatto, Tom of Finland di Dome Karukoski sul geniale illustratore finlandese che ha forgiato l’immaginario omoerotico fetish. Il suo vero nome era Touko Valio Laaksonen (1920-1991) e ha generato 3500 maschi polposi e arrapanti sul genere Colt, dominante, che hanno eccitato intere generazione per la perfezione del tratto e l’erotismo sotteso, visibilio per chi sognava l’altra metà del cielo e si scopava chi incontrava nei cruising e nelle toilettes. Il bel film s’incentra sul suo grande amore Veli, sulla sorella (nella realtà erano due, condensate per questioni narrative), sul senso di colpa infinito per aver ucciso un soldato, sull’orrore dell’avvento dell’Aids, sul suo viaggio americano che rappresentò una fuga verso il sogno della libertà gay.
Abbiamo chiesto all’attore Pekka Strang che interpreta il protagonista come ha creato il ruolo: “Il problema dei biopic è farne un film: rappresentare la vita di ogni giorno. Il lavoro è stato molto lungo, si è protratto per circa cinque anni. La parte più difficile è che si cerca di rappresentare tutta la vita di Tom of Finland, anche le più particolari. Per il personaggio della sorella abbiamo fatto una combinazione delle due vere sorelle, come per il protagonista. Abbiamo rappresentato l’emotività di Tom cercando di essere il più fedele possibile al materiale che avevamo. Ho incontrato il nipote di Tom, altri parenti che dopo aver visto il film si sono messi a piangere e hanno detto: ‘Questo era Tom!’. Sono usciti libri sulla vita di Tom, piena di eventi. La difficoltà era rappresentare i ricordi, circondati da un’aura potente. Il viaggio a Los Angeles erano ubriacature ma anche sensi di colpa”.
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