Parlare con João Pedro Rodrigues, il più talentuoso regista portoghese vivente, autore di un cinema autoriale ossessionato da eros e thanatos (più la seconda), è emozionante. Lui è affabile, cordiale, un bravo ragazzo completamente differente dal suo affascinante cinema umbratile, misterioso, a volte quasi cimiteriale ed estremo. Due anni fa, quando mi raccontava del suo progetto O Ornitologo (L’Ornitologo), che era in procinto di girare, eravamo al Malabar Station di Nizza, diciamo non proprio un bar per educande, e dietro di lui si dimenavano – in video – polposi sfondaletto che ricordavano le scene più hard del suo intrigante O Fantasma, scandalo di Venezia 2000. Mi spiegò che si sarebbe trattato di un film gay su un ornitologo che si perde nella foresta dove fa bizzarri incontri, a suo modo una libera reinterpretazione della vita di Sant’Antonio ma con vari riferimenti anche a quella di San Sebastiano. Uccelli? Tanti.
Tre giorni fa ha vinto l’ambito premio per la migliore regia al Festival di Locarno, vinto dal bulgaro Godless di Ralitza Petrova e probabilmente O Ornitólogo arriverà in Italia al prossimo Torino Film Festival di novembre.
Una fantasticheria catto-queer in cui il celebre santo padovano nato alla fine del dodicesimo secolo a Lisbona da nobile famiglia diventa Fernando (il fascinoso Paul Hamy), un osservatore di cicogne sulla via dell’esplorazione di Trás-os-Montes, la zona più selvaggia del Portogallo, a nord est. Incontra un gruppo di lesbiche cinesi smarritesi sulla via per Santiago di Compostela che lo soccorrono quando la corrente scaraventa l’ornitologo sulle rive di un fiume, tramortendolo. Si ritroverà legato a un albero come San Sebastiano in versione 2.0, puro stile Boundgods.com. Seguiranno un pastorello sordomuto con cui farà l’amore, una gang di ritualisti pagani, amazzoni armate di fucili e via immaginando.
“Gli ho dato la mia età, la mia sessualità, le mie preoccupazioni – spiega Rodriguez -. È un personaggio cangiante come la maggior parte dei personaggi dei miei film precedenti. La sua identità sta cambiando e forse questo è qualcosa che ha più senso una volta compiuti i quarant’anni, quando si inizia a pensare alla vita che non si è vissuta”.
“Penso che il mio film racconti una sorta di metamorfosi, di trasformazione – continua il regista -. Ho cercato di essere più radicale che nei miei film precedenti. Ho pensato a come gli uccelli ci guardano, ci vedono. Ho voluto partire dal loro punto di vista, come se loro potessero vedere di noi cose che noi non vediamo. Nel mio film c’è un sacco di mitologia biblica e religiosa. Ho voluto giocare con essa, come stessi facendo una pittura religiosa, anche se io non sono religioso, come non lo erano i miei genitori. Sono arrivato a conoscere la religione solo attraverso la scrittura e l’arte. Un santo è anche una persona reale, fatta di carne e desiderio, magari molto voluttuosa. Mi piace indagare questa contraddizione, tra santo e carnalità. Ho pensato a Caravaggio, la cui pittura, molto fisica, quasi blasfema, veniva rifiutata dai suoi contemporanei. Ma tanta pittura o scrittura religiosa è altamente erotica, basta pensare agli scritti di Santa Teresa d’Avila. Spero che il mio film non sia troppo blasfemo, anche se un po’ lo è, ma credo in modo giocoso”.
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O fantasma era già un delirio, questo non immagino cosa possa essere, imperdibile