TORINO – «C’è chi dice che tra noi c’è una relazione omosessuale…» Dario Argento ha introdotto così il suo grande amico William Friedkin, sessantottenne occhialuto e con faccione bonario, alla presentazione al XXI Torino Film Festival di quel capolavoro (5 Oscar) che è The French Connection, ovvero Il braccio violento della legge, che lanciò nell’empireo hollywoodiano nientemeno che Gene Hackman. La passione del maestro dell’horror italiano per Friedkin, a cui il Torino Film Festival ha dedicato una retrospettiva, è ancora più comprensibile se si pensa che si tratta dell’autore de L’esorcista e di molti polizieschi metropolitani cupi e misteriosi quali Il salario della paura e Assassino senza colpa.
Si sono potuti rivedere anche i due film gay di Friedkin, in versione integrale: l’omofobico Cruising con Al Pacino e Festa per il compleanno del caro amico Harold (The Boys in the Band). Del primo, solitamente mutilato in tv delle scene più esplicite, si è potuta vedere quella in cui Al Pacino osserva in un locale leather una pratica di fisting con tanto di mano pronta all’opera grondante lubrificante, e l’orgia collettiva dei finti poliziotti dove il protagonista teme di essere identificato come sbirro. All’inizio c’è pure una scritta giustificativa (introdotta dopo le innumerevoli polemiche suscitate nella comunità gay americana che lo contestò fortemente) che recita «il film racconta solo un segmento dell’ambiente gay e non vuole essere rappresentativo di quel mondo».
E anche se resta uno dei film più crudi e antigay della storia del cinema (all’inizio una coppia di poliziotti in macchina osserva una strada gay dicendo: «e pensare che qui giocavano i bambini, ma che sta succedendo?») il ritratto dell’ambiente più fetish e degradato della New York omosessuale anni ’70 conserva indubbiamente un fascino che resiste al tempo (indimenticabile Pacino che scopre sorpreso il significato dei fazzoletti colorati usati come codice negli ambienti gay: giallo per gli amanti del pissing, a sinistra per i passivi e a destra per gli attivi, etc.).
Del secondo, Festa per il compleanno del caro amico Harold, non si può che constatare quanto sia inevitabilmente datato pur conservando il primato di essere il primo film gay a parlare esplicitamente di un gruppo ristretto di soli omosessuali che si ritrova a casa di uno di loro per un compleanno (ma sono tutti decadenti, intristiti e lamentosi). Finalmente la versione era quella integrale di 124 minuti contro i 108 che solitamente si vedono in tv.
Al TFF si è potuta anche vedere l’anteprima italiana di Padre e figlio di Alexander Sokurov, regista russo adorato dai cinefili a cui il Festival dedica una retrospettiva completa. L’intenso rapporto tra un giovane padre e un figlio militare nell’esercito che hanno perso rispettivamente moglie e madre (ma non si sa come né viene spiegato nel film), ha scosso la platea per alcune scene che rivelano una passione tra i due ai confini dell’incesto: all’inizio giacciono abbracciati e nudi in un letto e la bocca del figlio appare deformata come un grosso ano mentre emette un lungo sospiro di piacere e i muscoli si contorcono intrecciati a quelli tonici del genitore.
Spesso si osservano come due innamorati, indugiano avvinghiati, si baciano, il figlio rivela al vicino di casa di amare perdutamente suo padre. Si contemplano spesso i corpi nudi e muscolosi, giocano a pallone e fanno ginnastica sul tetto di casa, l’intensità del loro rapporto sconfina nella relazione tra due amanti claustrofobicamente complici.
L’interesse del film ipnotico e suggestivo sta più nella ricerca stilistica (fotografia poco contrastata virata in ocra, immagini dilatate in lunghezza, inquadrature simboliche elaborate) che nello sviluppo narrativo poco significativo. Alla conferenza stampa di Cannes, ai giornalisti che avevano fatto notare a Sokurov l’atmosfera fassbinderianamente gay del film, il regista russo aveva risposto seccato: «Chi vede omosessualità in Padre e figlio è un pervertito». Verrà distribuito prossimamente nelle sale italiane.
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