Pappi si dà alla pappa. A conferma del trend cineculinario lanciato dalla sprintosa commedia gay ‘Fuori menù’ e dal doc gastro-agricolo Terra Madre di Ermanno Olmi, l’irrequieto regista napoletano Pappi Corsicato torna al cinema con uno strepitoso cortometraggio pop in cui una coppia di parvenues, interpretati dai fedelissimi Iaia Forte ed Ennio Fantastichini, organizza nella loro villa in corso di ristrutturazione una festa pacchiana che finisce in sangue. Con la sua consueta affabilità, ci ha raccontato come è nata questa piccola gemma.
Questione di gusti nasce dal gusto per la pasta… Mi racconti la sua genesi?
Conoscevo già la Garofalo, un’azienda che apprezzo molto. Tramite un’agenzia romana, mi aveva chiesto in passato di fare un cortometraggio prodotto da loro. Ma non si tratta di product placement, mi hanno lasciato carta bianca, loro l’avrebbero presentato e basta. Dopo varie proposte di soggetto è venuto fuori questo. Devo dire che ho aderito anche perché speravo poi in un grande pacco di pasta! Volevano una storia in cui venisse fuori il buon gusto ma io ho sempre trattato il kitsch: insomma, sarebbe emerso per accumulo di cattivo gusto. In quello che racconto c’è una critica sempre ironica e divertita. Ho proposto questa storia in cui si organizza una sorta di debutto in società. A questa festa dovrebbe arrivare la crème della città tra cui professori universitari e nobili. Tutti si affannano per finire i lavori in questa nuova casa.
Ricorda molto Il mondo cammina, uno dei dodici episodi del film di Dino Risi ‘Noi donne siamo fatte così’ del 1971…Sì, ma mi sono anche ispirato al cinema di Tati e a Hollywood Party: ho rielaborato tutto, rivedendo e ricorreggendo alla mia maniera. Iaia Forte (in foto) e Ennio Fantaschini sono stati fantastici, una coppia davvero perfetta.
Come hai coinvolto il celebre cuoco Gennaro Esposito (in foto) che ha un piccolo cameo nel film?L’ho conosciuto tempo fa. Ho scoperto che è un mio fan e viceversa. È un grande cuoco e trovavo divertente coinvolgerlo. Anche lui conosce bene la Garofalo. È stato pazzesco: ha subito letto la sceneggiaturina, gli ho dato solo due indicazioni e lui ha recitato in maniera egregia.
La versione che è uscita il primo maggio nelle sale è diversa da quella visibile su YouTube?Sì, leggermente. Quella che si vede nei cinema è un po’ più breve, dura circa 8 minuti.
La villa dove è ambientato Questione di gusti è la stessa del tuo film Chimera?Sì, è quella. Si chiama Villa del Papa, è di un famoso architetto e si trova a Posillipo. Ha una struttura architettonica molto articolata su tre livelli. È decisamente cinematografica: consente varie possibilità di angoli e inquadrature. L’ho scelta anche perché mi ricordava un certo cinema anni ’60.
Hai studiato architettura, vero?Ho studiato solo un anno poi sono scappato in America. Ho sempre avuto la velleità di occuparmi di spettacolo. Volevo dedicarmi alla scenografia che, nei miei film, curo personalmente con i miei collaboratori. Per esempio, in questo corto, insieme al mio scenografo abbiamo costruito la statua di Venere coi cassetti o le sedie coi simboli della svastica e della falce e martello .
Questa Napoli di parvenues fintamente trasgressivi sembra ancora più grottesca in momenti di crisi come questo…C’è stato un momento di trapasso negli anni ’60, dopo il boom: oggi si parla di emancipazione, di trasgressione ma è tutto molto più puritano. La trasgressione è qualcosa di estetico, ora c’è decisamente più moralismo. Nei contenuti siamo tornati indietro: c’è paura di perdersi nella trasgressione, c’è bisogno di rivalutare i valori, essere più conformisti e rassicurati. È un problema generale, si può estendere al globo. La crisi è dei valori. Sono stati portati avanti valori senza contenuto, svuotati. Quelli di un tempo non esistono più ma non c’è neppure un atteggiamento nostalgico.
Il tuo stile è una sorta di "camp raffreddato" molto pop, ironico e elegante, vicino al gusto queer…Non ti so dire: nasce come accumulo di cose viste, in maniera molto estemporanea. C’è la cultura gay ma anche quella surrealista, un mix di Dalì e Magritte. C’è la pop art, il postmodernismo, un certo tipo di camp. Ho vissuto in America negli anni ’80, mi ha formato molto. Ma tendo a non classificarmi.
Il tuo cinema ha spesso contenuti gay. Che cosa pensi in generale del cinema a tematica omosessuale, ultimamente rifiorito a livello internazionale?Ho visto Milk, mi è sembrato un buon film ma non da strapparsi i capelli. Sean Penn, però, è straordinario. Ma riguardo alla militanza gay nel cinema ho alcuni dubbi: ci sono vari modi per raccontare il contemporaneo, attraverso una commedia di costume o un episodio di cronaca. Alla fine il succo è quello, non credo che ci sia una grande differenza: anche facendo un film surreale si parla di esseri umani che vanno raccontati e si può avere uno sguardo di tipo politico, attraverso magari una critica burlesca piuttosto che seriosa. Ma c’è chi vuole essere imboccato…
Ti pesa l’etichetta di "Almodóvar italiano" che ti è stata affibbiata?È un modo un po’ pigro di analizzarmi… Vado a tutte le prime dei suoi film, sono in contatto con suo fratello Agustín ma non sono un suo fan in stile groupie, non mi interessa l’autografo: è stato fonte di ispirazione per iniziare questo lavoro. Come ti avevo già raccontato sono stato sul set di Légami.
Dopo sette anni di assenza, sei tornato col film di successo Il seme della discordia che è passato in concorso a Venezia ed è stato definito "un capolavoro" dal direttore di Film Tv, Aldo Fittante. Come hai gestito questo "ritorno di fama"?Mi ha fatto piacere, il film è andato molto bene, è come se non fosse passato questo periodo di silenzio: c’è stato un incremento di pubblico, non mi hanno dimenticato, anche grazie alla distribuzione Medusa. C’è stato un continuum, non un tornare: in questi anni ho fatto documentari d’arte e ho sempre sentito molta attenzione da parte del pubblico. Venivo citato spesso, preso in considerazione. In definitiva è stato come rinverdire.
Matt Dillon ha dichiarato che vorrebbe lavorare con te…
Lo adoro. Anche Willem Defoe è un mio amico, come John Turturro. Il problema è che dovrei pensare a un progetto in lingua inglese. C’è sempre qualcosa che stride nel portare questi attori stranieri in Italia.
A che cosa ti stai dedicando adesso?A un documentario coprodotto dal pubblicitario Armando Testa su di lui. È un grande imprenditore creativo: ha inventato il passo uno, Papalla, la slow motion, ha portato da noi il Carosello. Ha avuto la grande intuizione di rivoluzionare tutti i mezzi di comunicazione in epoche non sospette. Molti artisti contemporanei quali Maurizio Cattelan o Jeff Koons hanno preso spunto dai suoi lavori. Carmencita per me rappresentava la fine della giornata: dopo si andava a dormire con immagini divertenti e carine. Il documentario sarà una sorta di contenitore in cui Lucilla Agosti introduce lo spettatore nel mondo di Armando Testa.
Nelle tue opere la musica ha sempre un ruolo importante…Io mi sono dilettato con le note: ho fatto il musicista, compongo musica, di solito c’è un mio pezzo nei film che faccio. Fin da piccolino, ascolto moltissima musica mentre scrivo: mi crea un’atmosfera, un mood emotivo molto importante. Nel caso di Mina, ho scoperto questo pezzo "Canta ragazzina", il cui testo mi sembrava perfetto per farci ballare su Lucilla Agosti. D’accordo con i miei produttori volevo mettere qualcosa di contemporaneo come "Non ti scordar mai di me" di Giusy Ferreri ma per me era un riferimento troppo naturalistico e per quel tipo di atmosfera non andava bene. Al momento ho altri progetti televisivi e spero di fare un film quanto prima.
Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?Da un lato il computer è ancora troppo indietro: le connessioni sono lente, potenzialmente potrebbe essere molto più veloce. Ora sono anche su Facebook ma il profilo me l’ha fatto una mia amica.
E sentimentalmente è tutta una ‘questione di gusti’?Le relazioni sono meravigliose o complicate, sempre.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.