Difficile trovare analogie, nel cinema, con questa storia a metà tra il fantasy e il romantico, se non con le stesse opere di Ozon.
Presentata all’ultimo Festival di Berlino, la pellicola racconta la storia di una giovane coppia che rischierebbe di diventare banale se non fosse proprio per l’arrivo di lui, Ricky, il piccolo figlio cui lentamente iniziano a spuntare le ali. E l’unica a non accorgersene è proprio la madre finché un giorno il piccolo non comincia a svolazzare fra gli scaffali del supermercato come se nulla fosse, tra le facce a dir poco stupite di massaie e clienti del negozio.
Ma il piccolo Ricky non è un angelo nel senso religioso dell’espressione, è più un sogno che diventa lentamente realtà. La sua storia vuole essere un elogio alla diversità, in qualsiasi forma si presenti. Una diversità che sarà la salvezza della giovane madre di Ricky, operaia in una fabbrica chimica, che rischia una forte depressione.
"Ricky" è un film fiabesco, solare, riappacificante, d’elevata fattura, coprodotto e distribuito da Teodora. Ne abbiamo già parlato. A firmarlo, come abbiamo detto, è François Ozon, enfant prodige del cinema francese che ha realizzato vari film gay – "Il tempo che resta", sul cancro; "Cinqueperdue" sulla bisessualità; "8 donne e un mistero" sul camp; "Gocce d’acqua su pietre roventi" da e su Fassbinder; "Sitcom" sul coming out – ma non questo.
O meglio, questo bambino a cui spuntano le ali e sconvolge la vita di una famiglia proletaria, può quindi essere letto anche come una metafora della diversità sessuale in grado di rendere produttiva una creatività non omologata e incasellabile, con una mise en abîme congrua, ma che per Panofsky non avrebbe il marchio-indizio dell’ "iconografia fissa", quindi, in realtà, non c’è una corrispondenza diretta tra Ricky e il mondo gay. Ma lo si può quantomeno immaginare.
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