Gelida, ostile e respingente: così appare Milano agli occhi della famiglia Parondi, mamma e figli al seguito in arrivo dalla Basilicata in cerca di miglior fortuna ai tempi del boom economico. Siamo nel 1960 e Rocco e i suoi fratelli, melodramma di Luchino Visconti ispirato ai racconti contenuti ne Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, lascia un segno indelebile nella storia del cinema.
In un’odissea senza vie d’uscita Milano diventa teatro di passioni viscerali e irrefrenabili: l’eros è la vera spina dorsale del film, movente dei protagonisti e causa del dramma stesso che si traduce nella deflagrazione completa dell’istituzione familiare. La censura di quegli anni grida allo scandalo per le scene legate alla prostituta Nadia e per gli innumerevoli episodi violenti (lo stupro alla Bovisa, la colluttazione immediatamente successiva dei due fratelli e l’accoltellamento ai danni di Nadia), ma non fa una piega per la sottotraccia gay del film.
Perché?
L’indolente e pigro Simone, interpretato da Renato Salvatori e da subito il meno predisposto ad accettare i ritmi frenetici della città, cerca la scorciatoia per il successo dandosi alla boxe: vincerà qualche incontro prima di cadere vittima di una gelosia folle e scriteriata per Nadia. Ormai caduto in disgrazia, viene circuito dal manager Morini che lo apostrofa così: “Come pugile i tuoi giorni sono ormai finiti e come uomo puoi interessare solo a qualcuno come me”. Simone cede alle sue lusinghe.
Visconti, letta l’opera del Testori, pensava a orge legate al mercato della pornografia omosessuale organizzate in un contesto di alta borghesia urbana: conscio della mano lunga della censura semplifica progressivamente il personaggio di Morini, che però non perde nulla del suo potenziale scabroso. È il contesto a cambiare: la scena chiave, ambientata a casa sua, è illuminata da luci soffuse e da una musica inquietante (eccezionale la colonna sonora curata da Nino Rota).
L’omosessualità sembra condannata, rappresentata com’è da un ricco impresario traviatore dei valori proletari. Soddisfaceva tanto il moralismo di destra quanto quello di sinistra. Visconti voleva compiacere il suo Pci, in primissima linea in quel 1960 a fomentare lo scandalo bresciano dei balletti verdi? Un caso di cronaca (legato a corruzione di minore) si trasformò presto in evento nazionale: furono inquisite 200 persone e tutti i giornali condannarono senza appello il dilagante circuito del vizio a cui gli omosessuali tendevano. Brescia divenne nel giro di pochi giorni la città dei froci e l’attore Giò Stajano, omosessuale dichiarato all’epoca, si presentò in tribunale vestito da donna a lutto intenta a sferruzzare: del tutto estraneo a ogni vicenda, era stato convocato perché “esperto in materia di invertiti“.
Il mondo dietro alla piccola scena di un film.
P.S. Alain Delon alias Rocco, che al gay dichiarato Luchino Visconti deve la sua fama, nel 2013 tuona in diretta televisiva in Francia: “L’omosessualità è contro natura, l’uomo è fatto per la donna”. Rocco, il personaggio più equilibrato e cristianizzato del film, proprio lui.
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