AMORE E MORTE IN UN CARCERE

"Tatuaggi": lo spettacolo omoerotico di Fiore, tratto da Genet.

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2 min. di lettura

Tre uomini, tre criminali, si muovono, si studiano, si raccontano, chiusi in una gabbia, in una dinamica emotiva sempre più esasperata che porta fino all’assassinio del più giovane dei tre, Alfredo, per mano di un compagno di cella, Peppe. Alla base del gesto la gelosia, scatenata dall’amore di entrambi per il terzo carcerato, il Marinaio, e la volontà di emulazione del proprio idolo, colpevole di omicidio. Il microcosmo della cella è governato di una gerarchia di valori rovesciati, non priva di regole complesse e talvolta contraddittorie, dov’è la supremazia del male, un male sempre inutile, fine a se stesso, a trionfare. L’azione che si svolge nella cella sembra così far parte di una sorta di rito.

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Una luce caravaggesca illumina i corpi degli attori, li isola, li fa splendere in un suggestivo plasticismo pieno di vigore maschile e di sfumature omoerotiche. In primo piano i tatuaggi del titolo, metafora esplicita dei segni che la vita ha lasciato sulla carne e sull’anima dei protagonisti.

Enrico Fiore ha tratto questo testo da Haute seurveillance di Genet, attraverso un interessante lavoro di riscrittura che ha trasformato il francese della versione originale in un dialetto napoletano pregnante e musicale, stratificato, in bilico tra gergo malavitoso e parlesia (linguaggio di origine zingaresca anticamente in uso tra i musicisti napoletani). La regia di Laura Angiulli sottolinea volutamente la crudezza della vicenda, la sua primitiva brutalità, attraverso un processo di riduzione minimale della scena, per sollecitare piuttosto una forte partecipazione emotiva da parte dello spettatore.

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Irraggiungibile simbolo erotico per delinquenti comuni, a sua volta innamorato di un più efferato criminale, il Marinaio richiama alla mente un più noto marinaio di Genet, quel Querelle de Brest portato sugli schermi da Fassbinder. Nei suoi discorsi riappare costantemente la nave. Significativa utopia di una concezione specifica di libertà: si può sognare di essere liberi, ma a patto di essere in un altro microcosmo, comunque separati dal mondo esterno, di cui non si capiscono le regole. I tre personaggi si portano addosso il peso di un destino che li ha voluti reietti e del quale sembrano accettare le immutabili leggi.

Dal 27 febbraio all’11 marzo al Teatro dell’Elfo, Via Ciro Menotti, 11 – 20129 Milano, tel. 02716791 (solo informazioni) fax 0270123851

di Antonio Zagari

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