Chiamatemi fr*cio ma rispettate i miei diritti

Contro il politicamente corretto nel linguaggio.

Chiamatemi fr*cio ma rispettate i miei diritti - corretto - Gay.it
3 min. di lettura

Sono cresciuto nell’hinterland, a Rozzano, in mezzo alle belve. Sono poco sensibile al politicamente corretto, soprattutto nel linguaggio. La mia inclinazione per il turpiloquio e le parole proibite vien da lontano. Da piccolo, a due, tre anni, stavo sul balcone della mia casa popolare a insultare i passanti. Ale – diceva Teresa a mia zia, sua amica – perché tuo nipote ogni volta che passo mi chiama zocc*la e putt*na?

Poi ho letto e studiato la letteratura, la filosofia, la poesia. Ma io resto interessato alla lingua in tutti i suoi usi. Coltivo il sentimento profondo del bisogno di una forbice ampia di possibilità semantiche. Come in alto, così in basso. Al di là delle sacrosante lotte per i diritti, resta la lingua. Resta e chiede il suo spazio, la sua autonomia. Un’autonomia che certe posture ormai diventate di moda – soprattutto sul web – non consentono più.

Siamo infettati dal politicamente corretto nel linguaggio che lascia campo libero al politicamente scorretto nei fatti e nei comportamenti. Personalmente cerco di mettere in atto l’opposto.

Ad esempio: in alcuni casi dare della tr*ia a una donna o del rottoinc*lo a un uomo è semplicemente l’equivalente che darle/gli della/o stronza/o. Non c’è alcun intento di riferirsi alla dimensione sessuale. In altri casi invece no, quelle stesse parole possono essere usate per mettere in atto agguati sessisti e neopratriarcali, misogini e omofobi. Ma bisogna distinguere. Gli insulti sessisti esistono, gli atteggiamenti maschilisti esistono, ma non bastano le parole. La sorveglianza generalista, da social network, si dimostra incapace però di vedere le differenze.

Non riuscendo a fare questo tipo di più o meno sottili distinzioni, il luogo comune ormai vuole che sempre più – formalmente, a livello pubblico – l’uso di certe parole o certe espressioni venga possibilmente vietato, abolito.

Sì, va bene, per non attirarmi il furore delle beghine dirò che è vero, non bisogna mai e poi mai dare della tr*ia a una donna. Non bisogna insultare nessuno, neppure per scherzo, neppure in letteratura, in poesia o in un film. Bisogna parlare con rispetto e decoro. Ma mentre lo dico io mi dissocio da me stesso. Io non ci credo.

Questo è quello che ormai vuole tutta una certa vox populi in realtà poco in confidenza sia con la lingua che con la (reale) cultura dei diritti. La retorica onnipervasiva oggi vuole che il linguaggio venga depurato, amputato, sterilizzato. Ormai non si può più dire niente. A qualsiasi livello, che si scherzi o si litighi, che si parli mossi dalla furia dialettica o che si riportino frasi altrui, il dictat imperante esige di stare alla larga del tutto da certe associazioni, da certi collegamenti tematici.

La retorica di massa si attacca alla lettera, come l’algoritmo di Facebook segnala le singole parole, non bada al contesto. Non distingue i registri.

Butta via il bambino con l’acqua sporca, dove il bambino è la potenza e la bellezza della parola – anche scurrile o caricaturale, la magnificenza della parola che nasce solo dalla libertà di poter giocare con la realtà e con le sue forme.

Di omosessuali e donne, ad esempio, ormai bisogno solo parlar bene e con serietà. Anzi con seriosità. In modo un po’ austero, un po’ contrito. Vietato scherzare, vietato trasfigurare, esagerare. La lingua ha un potenziale estetico, narrativo e ludico che non può che restare soffocato da tutta questa retorica neo-vittoriana, perbenista, bon ton.

Perché è questo che succede quando i temi diventano mainstream. La carica progressista si fa pura facciata. Certo il linguaggio d’odio, lo hate speech, è un guaio vero, una piaga reale, ma ormai l’attenzione social(e) è diventata più una posa che altro. Molto severi e rigidi (a casaccio) con le parole, assai distratti e insensibili quando ci sarebbe davvero bisogno di opporsi allo status quo.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità” disse qualcuno, un po’ di tempo fa.

E mai parole furono più adatte a raccontare la postura media che oggi è quella dei sentinelli e delle sentinelle del politicamente corretto.

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Steve Pearl 7.3.17 - 6:35

Pare che la questione più difficile da gestire sia la coerenza. Come per la lucarelli che pratica il politicamente scorretto su altri ma che il cielo ti fulmini se fai la stessa cosa con lei. Già... perché alla fine le parole hanno il loro peso checché ne diciate, altrimenti perché mascherare le parole con gli asterischi? Si scrive FROCIO e non FR*CIO, si scrive ZOCCOLA e non ZOCC*LA... e comunque con asterischi o senza il significato non cambia. Quindi io, semmai, mi professo un sentinello del politicamente scorretto proprio perché voglio usare le parole nel pieno del loro significato... ed esprimere le mie opinioni come meglio lo credo opportuno consapevole di quello che faccio e che dico... anche a costo di apparire irrispettoso nei confronti di chi chiama zoccola o puttana la vicina di casa.

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Giovanni Di Colere 6.3.17 - 15:56

Per me il politicamente corretto è figlio di una mentalità ipocrita e di una cattiva coscienza, quella dei radical chic che da un lato si vergognano delle pulsioni razziste nei confronti del diverso e dall'altro pensano che dicendo "segretaria" alla Camusso della CGIL l'abbiano veramente resa uguali al predecessore, il segretario Cofferati e non una assistente. L'educazione e le buone maniere - cioè la buona educazione formale non quella che gli analfabeti confondono con gli studi - per me è a prescindere. L'educazione, la formalità, dare del Lei ,rispettare il prossimo, vestirmi e comportarmi educatamente, lavarmi, chiedere scusa, permesso, per favore, dire grazie buongiorno e buonasera è tra le cose che più mi distunguono dalle amebe. E non hanno niente a che fare con il politicamente corretto. Quindi se devo fare l'artista underground perché mi voglio atteggiare ma finisco per offendere, insultare e umiliare qualcuno, preferisco non ammantarmi di linguaggio urbano metropolitano. Lascio agli altri il festival del cafone che offende. Le parole sono pietre e a me piace scolpirle, e non tirarle, le une e le altre, per dare qualcosa di umano agli altri, qualcosa degno di essere vissuto, una emozione, una immagine, una storia un ricordo, una speranza.

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    fabulousone 6.3.17 - 16:28

    Il fatto però è che il politicamente corretto, se presente nel modo giusto quindi senza esagerazioni o ipocrisie varie, rientra proprio nell'elementare rispetto verso il prossimo. Evitare di chiamare le persone con termini che evocano discriminazione, spregio, significa rispettare il prossimo e tutti gli altri che appartengono a quel determinato gruppo di persone. Non bisogna esagerare e agire in modo ipocrita, certo, ma di per sé il politicamente corretto è sacrosanto, di elementare buon senso direi.

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      Alessio 6.3.17 - 18:07

      Già. E tra l'altro a me pare che questo articolo - come avete già fatto notare più su - sia un po' "fuori sincrono", rispetto alla realtà di oggi. Oggi il politicamente corretto è fortemente in crisi e viene sbeffeggiato da praticamente chiunque, specie da chi vuole arrogarsi il diritto di giudicare e denigrare. Mi capita quasi tutti i giorni di sentire o leggere qualcuno che definisce "politicamente corretto" (con intento evidentemente spregiativo) anche il più timido richiamo a un minimo senso di civiltà e rispetto. Anzi, mi domando: "politicamente corretto" ha mai avuto un'accezione positiva nell'immaginario dell'uomo della strada? Ma in realtà anche i cosiddetti "intellettuali" si sono sempre fregiati di ignorare il "senso comune" e il politically correct, in nome di un anti-conformismo così esasperato da generare mostri: soprattutto a Destra, ma a volte anche a Sinistra. Anyway, personalmente, anche se dovessi rinunciare per sempre a dire a qualcuno/a tr*ia o rottin*ulo, non la vedrei come una drammatica sconfitta per il genere umano. E' un pericolo che però non corriamo. A me pare che invece oggi si sposti sempre più in là la linea di demarcazione fra ciò che si può dire e ciò che non si dovrebbe nemmeno pensare. Per carità, meglio che chi pensa certe cose, le dica molto chiaramente, almeno so riconoscere al volo i miei nemici.

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        fabulousone 6.3.17 - 18:50

        Esattamente. Ad oggi il problema è semmai lo sbeffeggiamento, la denigrazione, del politicamente corretto. Dovremmo pensare a promuovere il diritto di ognuno di noi a venire rispettato, con le parole e con le azioni, non accettare di venire chiamati in modi beceri o che la sessualità, nostra o altrui, possa venire usata per insultare qualcuno. Io non sono per un'eccessiva drammatizzazione, difatti trovo che in alcune circostanze tipo scherzando tra amici al bar ci possa essere rutto libero e linguaggio pecoreccio senza troppi problemi, ma non mi sembra neanche giusto un tana libera tutti. Ogni contesto ha un linguaggio appropriato.

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fabulousone 6.3.17 - 14:05

Interessante. Secondo me comunque tutto dipende molto dai contesti; tra amici al bar certe espressioni si possono anche usare, in altri contesti meglio di no, ad esempio alla tv davanti a milioni di persone che potrebbero anche fraintendere. Tra l'altro, io credo che più che sentirsi invasi dal politicamente corretto dovremmo preoccuparci di certe bordate che si sentono in giro contro il politicamente corretto stesso che, tirando in ballo la libertà di potersi esprimere in libertà e certe esagerazioni di politicamente corretto che a volte vengono fatte, sembrano però mirare a una sorta di tana libera tutti per poter tornare all'insulto libero verso le minoranze, persone lgbt in primis. Aggiungo questo: certo che a volte si dà della tro*a o del rottinc*lo senza volersi riferire alla dimensione sessuale, semplicemente per dire cose come str*nzo/a, ma perché lo si fa? Perché si ricorre proprio a quelle parole? Proprio per un riflesso sessista, bigotto e omofobico; un riflesso che sarebbe il caso di abbandonare e condannare non certo di sdoganare o incoraggiare. Si dica semplicemente str*nzo/a, non è così difficile.

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Egemonia 6.3.17 - 13:37

Potrei non avere capito nulla del suo ragionamento se credessi ancora che tutti gli esseri umani indipendentemente da qualsivoglia carattere etnico, sessuale e religioso andassero rispettati in primis con l'uso delle parole? La dialettica forse è il modo più rapido per non offendere gli altri, poi come ha specificato lei c'è il perbenista che fa buon viso a cattivo gioco e naviga nell'ipocrisia. Sarà che io sono contro i social network e infatti non li frequento, e non condivido la gogna mediatica che spesso scaturisce solo dall'insoddisfazione generale e dal bisogno smodato degli individui di appartenere a un gruppo, ma l'uso delle parole, al di là delle azioni e del pensiero, dovrebbe essere caratteristica imprescindibile delle società civili...Forse...Magari sono io che mi sbaglio...

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    Valium 6.3.17 - 14:32

    No non si sbaglia, è che si sta parlando di una cosa piuttosto semplice e farci sopra troppe considerazioni porta solo confusione e complicazioni senza motivo. In ultima, l'analisi che mi sento di fare è riassunta in "l'uso del linguaggio scurrile è direttamente proporzionale all'intimità del rapporto". L'unica mia preoccupazione è che il largo uso di parolacce e bestemmie venga usato come prova di anticonformismo.

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Valium 6.3.17 - 13:09

Quasi bene. Da un lato il politicamente corretto serve, quando si parla alle masse dovrebbe essere la regola, una forma di cortesia verso persone culturalmente diverse, dall'altro lato penso che nessuno si offenderebbe se un nostro amico ci desse del frocio scherzosamente, ovviamente il discorso cambia così come cambiano i rapporti fra le varie persone. Boh, si, ok, però non mi rimane nulla.

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